Berlusconi al Quirinale? Un nome troppo divisivo
L’insistenza con cui Berlusconi tende a proporsi per il Quirinale cela un inganno oppure un’insidia. Egli infatti non sembra avere molte possibilità, e dunque chi tra i suoi lo incoraggia e lo blandisce non gli fa un favore. Ma il fatto che in tanti (e lui per primo) mostrino di considerarlo il corridore che guida la corsa, può alla fine imprimere un tratto aspro e lacerante ad una scelta che dovrebbe invece avvenire nel segno dell’armonia, o almeno di una larga condivisione. La verità è che Berlusconi non ha i numeri, a meno che dal magma grillino non si sprigioni una improbabile corrente di franchi tiratori a suo favore. Ma soprattutto il suo è un nome divisivo, che richiama a sé, contemporaneamente, il tifo dei suoi e l’avversione degli altri. Eccessivi tutti e due, probabilmente: sia il tifo che l’avversione. Ma tant’è.
Questa è stata la sua scelta anni e anni fa, e la pretesa ora di posare a padre della patria suona troppo improvvisata per essere credibile fino in fondo. Certo, Berlusconi può insistere. La tenacia non gli manca, e il consenso della sua parte neppure. Egli può chiedere ai suoi alleati una prova d’amore, facendosi votare alla quarta votazione e confidando nell’improbabile favore della roulette parlamentare. Vorrebbe dire, però, acuire le divisioni dando ragione a Salvini e Meloni che del centrodestra hanno un’idea ancora più muscolare. E tutta la fatica degli ultimi mesi di proporsi come un vecchio saggio pieno di buonsenso se ne andrebbe rapidamente in fumo. C’è da dubitare che ne valga la pena.