Automotive: tre chiarimenti
A leggere alcune dichiarazioni imprenditoriali sulla difficile fase del settore automotive si rimane sinceramente interdetti. È una peculiare incomprensione della realtà, oppure qualcosa di più sorprendente? Ristabiliamo un po’ di chiarezza, in sintesi.
Primo, si attribuisce la sfavorevole congiuntura dell’industria italiana al rallentamento degli ordini di autoveicoli e della loro componentistica. In realtà, i settori maggiormente in contrazione vanno ben oltre i comparti legati alla produzione di autoveicoli. La nostra industria sconta una dinamica troppo lenta della produttività, il venir meno dal 2023 delle condizioni di sostegno alla domanda da parte delle politiche fiscali e monetarie, più una serie di svantaggi di carattere strutturale su cui torneremo in un prossimo intervento. La transizione verso l’elettrico è una trasformazione permanente del mercato e di carattere globale, non un capriccio di “minoranze europee”.
Secondo, i dati mondiali ci dicono che nel 2024 c’è un ridimensionamento delle vendite, dopo però un 2023 di forte crescita. Le trazioni endotermiche stanno contraendosi più di quelle elettriche, segno che è il prodotto autoveicolo, non il mercato dell’elettrico, ad attraversare una fase di difficoltà, probabilmente un declino permanente. Stanno cambiando le tecnologie, ma anche gli orientamenti e le necessità di spostamento delle persone; tutto ciò, insieme agli effetti dell’impennata irreversibile di prezzi e costi degli anni passati sta riducendo la domanda complessiva di nuovi veicoli.
Terzo, alcuni rappresentanti dell’industria chiedono di ritardare varie misure orientate a migliorare le performance emissive dei veicoli, citando la necessità di non soccombere alla concorrenza delle produzioni cinesi, sostenute dallo Stato. Ora, se c’è un settore industriale che, in Europa e negli Usa, ha mantenuto per decenni fatturato e profitti proprio grazie a consistenti sussidi e misure protettive pubbliche, nonostante un evidente ritardo tecnologico rispetto ai produttori asiatici, è proprio quello automotive. Le autorità pubbliche dovrebbero semmai impiegare le poche risorse disponibili per favorire l’innovazione e l’occupazione in nuovi settori industriali in grado di aprirsi spazi di crescita in domini di nuovo sviluppo. Esattamente ciò che avrebbero fatto i produttori storici di veicoli se le protezioni pubbliche dei decenni scorsi non li avessero “distratti”, spingendoli a trascurare ricerca e investimenti sull’elettrico. Chi difende le nuove imprese, i nuovi posti di lavoro nei settori emergenti?