Antidoto al virus della disuguaglianza
“E al popolo stava a cuore il lavoro”, è questo il titolo del messaggio dei vescovi italiani per il primo maggio, festa di S. Giuseppe lavoratore, festa dei lavoratori, di tutti i lavoratori e festa del lavoro.
E’ un titolo che è Parola di Dio, tratta dal libro del profeta Neemia (Ne 3,38) e che perciò ci immette nell’orizzonte della visione cristiana del lavoro. Dio per primo creando il mondo ci insegna che il lavoro contribuisce all’armonia del cosmo, rende l’essere umano simile a Dio nel creare, gli dona dignità. Il lavoro ci sta a cuore perché è vita, è possibilità di vita ed è necessario per generare una nuova “normalità” in cui nessuno sia lasciato indietro.
Viene difficile anche quest’anno parlare di festa dal momento che le incertezze, le tensioni e le paure sono tante. La pandemia inoltre –come affermano i vescovi- ha evidenziato i limiti del nostro sistema socioeconomico e nel mondo del lavoro si sono aggravate le disuguaglianze.
Quanti sono preoccupati per il futuro delle loro imprese, quanti lavoratori temono di perdere il lavoro o lo hanno perso? Quanti precari, stagionali, “invisibili”,… quanti lavoratori sentono ancora più forte il bisogno di un lavoro dignitoso e ne soffriranno la mancanza? quanti lavoratori stanno già subendo le disuguaglianze economiche e sociali? i lavoratori meno retribuiti, meno formati e meno protetti, le donne e i giovani, alcuni settori più penalizzati di altri dalle chiusure…
Come potremmo parlare della dignità umana senza impegnarci perché tutti e ciascuno abbiano la possibilità di un degno sostentamento? Non possiamo più lasciarci ingannare dal miraggio di una crescita infinita facendo svanire i volti concreti delle persone e trasformandoli in numeri.
La crisi che viviamo ha tuttavia aperto anche delle opportunità: è aumentata la consapevolezza che è necessario cambiare. Non si parla più solo di innovazione, di digitalizzazione, di transizione energetica, ma anche di inclusione. La stessa ricerca economica parla di importanza di investire in capitale sociale, dell’applicazione della sussidiarietà e della partecipazione attiva ai processi politici come rimedi contro la disuguaglianza.
E la fede? La fede giustifica la denuncia di un’economia che uccide a causa della concentrazione della ricchezza, di relazioni sociali individualistiche ed egoistiche. E ci parla di conversione, che è qualcosa di più di cambiamento perché dice anche direzione, orientamento. Non a caso i vescovi richiamano alla bussola della fraternità che papa Francesco ci ha consegnato nella sua ultima enciclica. I luoghi di lavoro sono esperienze di comunità e di condivisione e in tempi di crisi la fraternità è necessaria perché ci rende capaci di inclusione, di passare dalla centralità della produzione a quella della generazione, dove ciò che facciamo non può essere slegato dal legame con ciò e con chi ci circonda.
San Giuseppe, operaio di Nazaret, uomo concreto, uomo di azione e di fede, che ha saputo trasformare con coraggio creativo un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza ci aiuti a rimboccarci le maniche e metterci all’opera, senza disimpegno e senza rassegnazione.