Ancora Quaresima

Questione di accento. Da come cade l’accento un “ancòra” da avverbio diventa sostantivo: da desiderio a concretezza, la speranza si fa presente. La Chiesa è pronta a iniziare un nuovo itinerario di Quaresima: un tempo di rinnovamento, un’occasione per ritrovarsi uomini e donne veri. Vivere la preparazione alla Pasqua nel tempo del Giubileo è un lavoro di profondità. Il Giubileo apre le porte alla grazia? La Quaresima offre i cardini per queste porte: preghiera, digiuno e carità. L’anno santo ci chiama alla conversione? La Quaresima ci invita a guardare la nostra storia con gli stessi occhi di Dio. L’anno giubilare ci vuole pellegrini? Il deserto della Quaresima è il luogo ideale per il nostro allenamento: attraversare aridità, per trovare oasi di vita. Se visto così, il nostro cammino quaresimale potrebbe diventare più “semplice”; dipende dove mettiamo l’accento nel nostro rapporto con Dio, nell’incrociare lo sguardo del fratello, nell’abitare l’intimo del nostro cuore. L’àncora è segno di speranza perché dà la certezza di essere giunti in un porto sicuro, dove si può scendere dalla barca e abitare la terraferma della fedeltà di Dio. L’accento è sulla stabilità della vita, mette radici profonde sapendo che la speranza non si fonde con l’ottimismo e non si confonde con uno sguardo che permette ogni cosa.
La speranza toglie dalla realtà il velo dell’ottimismo e mette tutto nella verità. Ci aiuta a stare davanti ad ogni situazione e relazione, anche ferita e affaticata, e vedere il bene che nasce da una ferita, da una difficoltà, da una croce. La speranza è l’accento giusto con cui puoi leggere la Quaresima. Ma esiste anche un “ancòra”. Un avverbio che indica la continuità di un’azione considerata in relazione con una situazione presente, futura, passata. Ancòra la Quaresima può regalarci la giusta posizione nel nostro presente per vederci disposti a “lasciarci riconciliare con Dio” (cfr 2Cor 5,20). Ci proietta con sapienza nel futuro dove potremo ritrovare “la nostra vita nascosta in Dio” (cfr Col 3,3), arricchendoci di un passato grato che è capace di riconoscere e ricordare tutto il cammino che il Signore ci ha fatto percorrere in questi 40 anni nel deserto, per umiliarci e metterci alla prova, per sapere quello che avevamo nel cuore. Abbozzare propositi o costringersi in impossibili penitenze, sono tutti atteggiamenti leciti, ma che rischiano di gettare solo piccole àncore sulla sabbia del nostro volontarismo. Se i nostri desideri di bene, invece, si radicheranno sulla solidità della parola di Dio e si intrecceranno con l’incontro della misericordia di Dio, allora la stabilità di una vita amata e riconciliata potrà essere segno di speranza dentro il nostro tempo, che non si accontenta di pacche sulla spalla, o piccoli incoraggiamenti effimeri. Abbiamo la necessità di vivere da pellegrini di speranza, che mettono àncore dove c’è un’umanità da guarire e consolare. Ci serve ancòra una Quaresima perché abbiamo bisogno di Pasqua. La Pasqua non si improvvisa. La passione vede ancòra l’uomo alle prese con la sofferenza, con i sogni soffocati, con la pace non concordata. La morte è ancòra la signora di chi ha paura, di chi lotta da solo, è ancòra incomprensibile, se continuamente staccata dalla vita. Ed ecco ancòra la Pasqua che rinnova, che fa rinascere, che restituisce dignità, che rimette al suo posto la terra e il cielo, c’è ancòra un’umanità che cerca di risorgere. Dare l’accento giusto, in questo tempo quaresimale, non sarà un innocuo esercizio di grammatica, ma sarà serietà di un cammino: coinvolgimento del cuore e della mente, vero percorso di fede e fiducia. Gettiamo ancòra l’àncora sulla promessa che Dio ci fa: tutto serve “per un più di vita”.
