Ai piedi della croce, guardando avanti
C’è un personaggio nei Vangeli di cui si dice pochissimo. Si chiama Giuseppe d’Arimatea. È una figura che merita almeno una vota di essere portata alla ribalta, perché di sua natura è estremamente riservata. Giuseppe – Arimatea era la località di residenza – entra in scena immediatamente dopo la morte di Gesù, al momento della sua sepoltura. Prima non si hanno notizie di lui. I Vangeli ci spiegano che era un uomo facoltoso, che apparteneva al Sinedrio, cioè al gran Consiglio giudaico, che non aveva condiviso la decisione di condannare a morte Gesù. Era un uomo buono e giusto, di grande spiritualità. Con notevole coraggio – possiamo infatti immaginare la reazione degli altri membri del Sinedrio – egli decide di chiedere a Pilato il corpo di Gesù. Il governatore romano lo concede. Egli allora compra un lenzuolo, vi avvolge il corpo di Gesù dopo averlo tolto dalla croce e lo depone in un sepolcro, che si trovava nelle vicinanze del calvario. Quel sepolcro era di sua proprietà, nuovo e scavato nella roccia (dunque molto costoso). Con ogni probabilità era destinato a lui e alla moglie. Ci stupisce molto il comportamento di quest’uomo. Ci stupiscono la sua forza d’animo e la sua generosità, segno di una grande stima e di un grande affetto nei confronti di Gesù. C’è tuttavia un altro aspetto che colpisce ed è il fatto che egli decida di venire allo scoperto solo in questo momento. I Vangeli ci dicono che si era posto da tempo nella scia di Gesù e che lo seguiva con attenzione. Lo fa però in modo molto discreto, senza darlo a vedere. Un po’ come Nicodemo, un altro componente il Sinedrio che va da Gesù di notte per parlare con una certa calma ma anche per non dare troppo nell’occhio. Si trattava per entrambi di una posizione difficile, per la quale occorreva giusta prudenza. Davanti alla morte di Gesù, decisamente sconvolgente, le ragioni della prudenza cedono il posto a quelle della verità, al dovere di manifestare il proprio affetto ma soprattutto la propria considerazione per Gesù, per il suo gesto – quello di consegnarsi innocente alla morte – tanto misterioso quanto ammirevole. Che cosa abbia compreso Giuseppe di quel gesto di Gesù non sappiamo.
I Vangeli su questo punto sono molto discreti. Di Giuseppe ci dicono semplicemente che attendeva il Regno di Dio, cioè la manifestazione potente della regalità di Dio misericordioso. Possiamo forse dire che aveva intuito il rapporto esistente tra quella morte in croce e il Regno di Dio. Giuseppe si pone così sulla soglia che unisce la morte in croce di Gesù e la sua risurrezione. Il suo coraggio e la sua generosità sono espressione della sua fede. Fin dove arrivi l’intuizione della sua fede non siamo in grado di dirlo ma è bello pensarlo tra quelli che riescono a guardare avanti, molto avanti. In ogni caso egli è lì, ai piedi della croce. È tra i pochi che accolgono Gesù tra le loro braccia quando viene deposto dalla croce. È grazie a lui che viene reso a Gesù l’onore di una nobile sepoltura. Anche nella nostra vita la fede può avere momenti più discreti e momenti più coraggiosi. Quel che conta è mantenersi sempre sulla soglia che apre sul grande Mistero. Stare anche noi sempre ai piedi della croce e guardare avanti, molto avanti, nella luce della risurrezione.