A proposito di Settimana educativa
Educare significa liberare. Non sempre siamo consapevoli di questo aspetto, tutt’altro che marginale. Educare significa liberarsi (come educatori) del bisogno di affermazione personale, del fare il bene per assolversi, dai propri partiti presi e dai propri pregiudizi
Il calendario liturgico, alla fine del mese di gennaio, propone la memoria di alcuni santi che hanno avuto a che fare, in modi e tempi molto diversi tra di loro, con la crescita, lo studio, l’educazione delle giovani generazioni: il 24 gennaio ricordiamo San Francesco di Sales, il 27 Sant’Angela Merici e il 31 gennaio San Giovanni Bosco. Questa coincidenza non è sfuggita a molti oratori bresciani (92 oratori della nostra diocesi sono intitolati a San Giovanni Bosco) che vivono in quei giorni la “Settimana dell’Educazione”.
Ha senso, oggi, dedicare alcune serate alla riflessione sui temi educativi, mentre osserviamo l’invecchiamento e l’assottigliamento del gruppo dei volontari? Credo proprio di sì e vorrei proporre almeno 2 motivi per non perdere l’occasione di vivere anche quest’anno una settimana che offra almeno uno spunto di riflessione per la comunità educativa dei nostri oratori.
Il primo: la Chiesa, nella storia, ha sempre avuto un gran fiuto nel cogliere i bisogni del suo tempo. Li ha colti mentre l’impero romano era in rovina e bisognava formare uomini capaci di tenere insieme territori che andavano allontanandosi e rendendosi reciprocamente stranieri; ha saputo costruire ospedali, trascrivere codici, inventare le università, custodire uno studio serio di lingue e testi antichi quando nessuno ne capiva il senso (e se ne voleva occupare). In tempi più recenti, ha raccolto i giovani delle periferie, con don Bosco, don Pavoni e molti altri (ai tempi della prima industrializzazione), ha capito l’esigenza della scuola di qualità per tutti, per giungere al bisogno del Grest nell’estate dei figli dei lavoratori. Gli esempi potrebbero continuare. La chiesa ha sempre avuto fiuto e ne ha avuto perché ha saputo e voluto capire il proprio tempo. E il tempo che viviamo non lo si capisce ripetendo come ventriloqui slogan letti sui social network, ma prendendosi il tempo di incontrarsi, ascoltarsi, farsi accompagnare: confrontandosi su quale educazione è necessaria oggi per i nostri ragazzi.
Tra i tanti altri, vorrei proporre un secondo motivo, che mi sembra particolarmente necessario. Educare significa liberare. Non sempre siamo consapevoli di questo aspetto, tutt’altro che marginale. Educare significa liberarsi (come educatori) del bisogno di affermazione personale, del fare il bene per assolversi, dai propri partiti presi e dai propri pregiudizi. Educare significa aiutare un giovane a liberarsi: dalle paure (non sarò mai quello che vorrei), dalla massa e dai luoghi comuni, dai condizionamenti sociali dominanti; da una visione consumistica della propria vita e delle proprie relazioni; dalla passività e dall’incapacità di scegliere. Perché solo chi è libero, chi sa di essere stato liberato, può scegliere. E le nostre comunità hanno poco da offrire se non che loro – il Liberatore – lo hanno conosciuto.