Insieme da 130 anni
Fede, lealtà e coraggio. In questo 2023 in cui festeggiamo i 130 anni del settimanale ci siamo chiesti come declinare le tre parole che accompagnano la nostra storia e che sono ben fissate in alto, nella testata. La fede è la relazione tra la persona e Gesù. Appare come qualcosa di intimistico ma va condivisa. “Se avete amore gli uni per gli altri” vi riconosceranno (“sapranno che siete miei discepoli”). C’è una fede popolare che ha bisogno ancora di essere compresa e raccontata. Il desiderio di Dio, checché se ne dica, abita nella nostra società. Forse, a volte, fatica ad emergere o, come è sempre accaduto nel corso dei secoli, percorre strade non convenzionali. L’etimologia latina ci rimanda alla fiducia. Oggi più di ieri, forse, dobbiamo aiutare i nostri lettori e non solo a ritrovarla nel prossimo e anche nelle istituzioni. Invece di soffermarci solo sugli aspetti negativi, dobbiamo seguire e raccontare le impronte di bene che ancora calpestano il nostro territorio.
Se la ricerca della fede è nel dna del nostro settimanale, la lealtà è un principio fondamentale nella crescita di ogni persona. La lealtà è quella che ci viene chiesta dai nostri abbonati o dai nostri lettori sul sito internet o sui social. Il coraggio significa, invece, affrontare le questioni senza pregiudizi. Significa non avere paura di approfondire alcuni temi fuori moda.
Penso ad esempio alla questione delle armi (da quelle di distruzione di massa a quelle, sempre più in crescita nelle vendite e nella diffusione, per la difesa personale). Penso ai tanti conflitti. Penso alle tante disuguaglianze alle quali purtroppo ci stiamo abituando. Basta scorrere il Rapporto Oxfam per conoscere che nel biennio 2020-21 l’1% più ricco del pianeta si è accaparrato quasi il doppio della ricchezza del restante 99%. Anche in Italia cresce la concentrazione della ricchezza. Penso al divario tra Nord e Sud del mondo che determina il fenomeno inarrestabile delle migrazioni. Penso al cambiamento climatico, alla desertificazione, dove a farne le spese sono sempre le nazioni con meno responsabilità. Penso al tema della natalità e all’investimento sul futuro. Penso al tema della maternità surrogata con la mercificazione del corpo femminile che nasconde uno sfruttamento. Alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa siamo chiamati a leggere e interpretare i segni dei tempi. I quattro pilastri (dignità della persona umana, bene comune, sussidiarietà e solidarietà) sono i muri portanti di qualsiasi comunità. A volte, però, ne prediligiamo uno a discapito dell’altro.
Lo facciamo noi nel nostro agire quotidiano, lo fanno i politici per un mero calcolo sondaggistico/elettorale. Per parafrasare don Sturzo nella difesa della vita (dall’inizio alla fine, dal povero all’emarginato, nda) e nella promozione umana rintracciamo il motivo di fondo di ogni impegno sociale. La fede, la lealtà e il coraggio possono essere spiegati bene dalla speranza. Per i cristiani la speranza si radica nella fede e si fonda sulla Parola di Dio. Richiede la capacità di avere fiducia nell’altro/Altro. Esige una buona dose di intraprendenza quando tutto sembra andare in un’altra direzione. Charles Péguy, di cui pochi giorni fa abbiamo ricordato i 150 anni dalla nascita, ci ha lasciato pagine stupende al riguardo.
Nel pensiero dello scrittore francese la virtù della speranza “vede quello che non è ancora e che sarà, ama quello che non è ancora e che sarà”. Siamo figli di una storia importante inserita in una Chiesa particolare molto vivace tra Santi, Beati e Venerabili. Una Chiesa (laici e consacrati) che ha saputo interiorizzare le tre parole. Diversamente non si spiegherebbero le tante intuizioni che hanno avuto un seguito importante: dall’impegno educativo alla cooperazione, dalla presenza nell’ambito sanitario all’attenzione alla dimensione umanizzante del lavoro. Non possiamo, quindi, non essere contenti di appartenere e di prendere parte a questo cammino, perché, come affermava Lao Tse, “la gratitudine è la memoria del cuore”.