100mila aborti ogni anno
Il 22 maggio ricorreva il 40° della legge 194, che ha legalizzato l’aborto in Italia. Attiva dal ’78 la 194 ha prodotto sei milioni di non nati (5 milioni e 916mila i dati del Ministero riferiti al 2016), una media di 100mila l’anno. Una enormità di vittime – se vittima è, da vocabolario, chi soccombe all’altrui prepotenza. Centomila: come cento terremoti del Friuli l’anno da 40 anni
Il 22 maggio ricorreva il 40° della legge 194, che ha legalizzato l’aborto in Italia. Da poco abbiamo celebrato anche la festa della mamma. Due eventi inscindibili: non c’è aborto che non veda una madre perdere il suo bambino. Attiva dal ’78 la 194 ha prodotto sei milioni di non nati (5 milioni e 916mila i dati del Ministero riferiti al 2016), una media di 100mila l’anno. Una enormità di vittime – se vittima è, da vocabolario, chi soccombe all’altrui prepotenza. Centomila: come cento terremoti del Friuli l’anno da 40 anni. Come una Redipuglia l’anno da 40 anni. Il paragone è forte, ma lo è anche il silenzio. Senza incolpare nessuno ma con la convinzione che un anniversario, oltre a risvegliare polemiche, debba servire a fare il punto: non per puntare il dito sui singoli, ma per invitare il Paese a riflettere su quanto è accaduto. Il ricorso all’aborto è cambiato nel tempo: all’inizio si è registrato un vero boom, che ha toccato il suo picco nel 1982 con 234.593 aborti, una media di 642 al giorno. Poi è andato diminuendo fino agli 84.926 del 2016 (232 al giorno). Oggi si stima che ci siano 180 aborti ogni mille bambini nati (18%). I Centri di Aiuto alla Vita e il Movimento per la vita – che nel solo 2016 hanno fatto nascere 8.301 bambini e assistito 13mila gestanti – mettono in guardia: la diminuzione è solo apparente. Il dramma continua.
Dal 2009 è stata introdotta in Italia la pillola RU486 che, consentendo l’aborto farmacologico, ha ridotto gli aborti in ospedali e cliniche. Un metodo poco amato e poco usato (18%): lascia le donne sole a casa, richiede tre giorni ed è emotivamente molto più impattante rispetto a una mezza giornata in ospedale, sopite dall’anestesia. Bisogno di “estraniarsi” da quanto accade che ha pure un suo significato profondo. Più di recente è arrivata la pillola del giorno dopo (o dei cinque giorni dopo), acquistabile dalle maggiorenni in farmacia senza ricetta medica.
Per i produttori sono affari d’oro: nel 2016 ne sono state vendute poco meno di 240mila confezioni (per 6,5 milioni di euro). Tutto ciò dice che, da intervento o da pillola, le interruzioni di gravidanza – vera o possibile – continuano. E nel suo scrivere “l’aborto non sia usato ai fini della limitazione delle nascite” (art.1), la 194 ha fallito. Si sa che gli aborti lasciano ferite profonde in chi li vive, ma si trascurano le ricadute sull’intero Paese: dalla denatalità al lavoro alle pensioni. Questi numeri interrogano su questioni come educazione, salute, rapporti uomo donna, responsabilità; toccano pilastri fondativi del singolo e della collettività: la morale, la giurisprudenza, l’appartenenza religiosa. Dai Papi a Madre Teresa è facile trovare belle parole in difesa della vita, alla quale la Chiesa proprio da 40 anni dedica una Giornata. Piace allora ricordare quelle inattese della filosofa e femminista Luisa Muraro: “L’aborto non è un diritto. Un diritto ha sempre un contenuto positivo. L’aborto invece è un rifiuto, un ripiego, una necessità. La donna… subisce un intervento violento sul suo corpo per estirpare questo inizio di vita… Se si fa dell’aborto un diritto si autorizza l’irresponsabilità degli uomini” (Avvenire 11 gennaio 2018). E anche quelle dello stonato incipit della 194: “Lo Stato… riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”. Con riconoscimento e tutela maggiori avremmo tra noi un bel po’ di quei sei milioni di non nati con le loro mamme.