La Gerusalemme interiore, una cantata ebraica
All'auditorium San Barnaba per la Giornata della Memoria è andato in scena il concerto di Michele Gazich
La Giornata della Memoria è un punto fermo nella storia, per ricordarci il male assoluto accaduto in un preciso momento storico, con l’Olocausto pianificato da parte del regime nazista. Quest’anno, complice il conflitto tra israeliani e palestinesi, ha rischiato di essere onorata con minore intensità. Fortunatamente Brescia ha avuto la forza di ricordarlo con dignità, mostrandosi una città con un profondo senso civile, ed ha celebrato questa giornata in maniera adeguata e rispettosa.
L’Auditorium San Barnaba ha ospitato il concerto “La Gerusalemme interiore, una cantata ebraica“ di Michele Gazich, riservato in particolare ai ragazzi delle scuole bresciane, che hanno riempito la sala mescolandosi con le diverse autorità presenti e qualche “studente fuori corso”. Michele Gazich, musicista e cantautore bresciano stimato e conosciuto in tutto il mondo, si è presentato sul palco accompagnato dal fido chitarrista nonché “maestro dell’anima” Marco Lamberti, suo compagno di viaggio ormai da molti anni. E’ stata un’esibizione pensata appositamente per questa giornata, una cantata, genere che discende da Bach, calata nel contesto ebraico, nel quale Gazich è radicato. E’ stato un concerto-riflessione, con canzoni, testimonianze, racconti e contributi significativi, per far memoria di quanto accaduto e costruire coscienze di pace, compito affidato soprattutto alla generazione dei giovani.
Gazich, figura carismatica, ha aperto il concerto squarciando il silenzio della sala al grido di “Shalom Shalom Jerusalem”, saluti e pace a coloro che amano Gerusalemme, avviando così quello che il cantautore ha definito “un percorso di pace”. Il violino di Michele Gazich ha richiamato per tutto il concerto le tipiche sonorità ebraiche, tenendo desta l’attenzione degli studenti con parole forti e chiare, di pace e di profondità. “Gerusalemme non c’è fuori di me, Gerusalemme non c’è fuori di te, Gerusalemme non c’è fuori di noi”, perché Gerusalemme è dentro di noi e quanto sta accadendo oggi in Palestina colpisce le viscere stesse non solo degli ebrei ma di ognuno di noi. “Fuoco nero su fuoco bianco”, secondo brano proposto, è una metafora della scrittura, che non è un “lavoro inutile” ma è carne della nostra carne. “Fatevi bruciare dalla scrittura, non fate che i libri siano bruciati”, ricorda il violinista. “In ebraico il verbo leggere equivale al verbo chiamare, questo significa che si è chiamati alla lettura, è come una vocazione”.
“Lo scorso giugno – continua Gazich - abbiamo cantato a Gerusalemme e si percepiva chiaramente l’aria da guerra promessa. I media occidentali non comunicano quello che da un po’ sta accadendo in Israele, la società ebraica è letteralmente spaccata rispetto alla figura di Netanyahu. Gerusalemme è il nostro midollo, dobbiamo ripartire dalla Gerusalemme interiore. Queste sono canzoni che abbiamo portato ovunque ci fosse antifascismo”, ricorda ancora il musicista. Sul palco sale la cantante “celestiale” Rita Tekeyan, armena che vive in Libano, con un passato doloroso e faticoso, tra familiari e amici uccisi e una vita da segregata in casa. La canzone “Argon”, che porta il titolo di un suo album, è lo spunto per parlare di Primo Levi, il noto autore di “Se questo è un uomo”, nel quale racconta la sua esperienza ad Aushwitz. Forse non tutti sanno che Primo Levi era un chimico, e argon, gas nobile che non si mescola con gli altri, è il titolo del primo capitolo de “Il sistema periodico”, un suo libro che racconta le vicende di una piccola comunità ebraica piemontese. Michele Gazich sposta poi il racconto sulla sua permanenza, qualche anno fa, nell’Isola di San Servolo a Venezia, in una residenza per artisti sorta nel luogo dove dal 1725 al 1978 ci fu un manicomio. Qui Gazich, perlustrando l’Archivio dell’Isola e leggendo le cartelle cliniche degli ospiti del manicomio, deportati durante la seconda guerra mondiale nei campi di concentramento tedeschi, ha tratto ispirazione per comporre le canzoni confluite nel disco “Temuto come grido, atteso come canto”. Una di queste, una pseudo filastrocca ebraica, “Maltamè”, è stata eseguita durante il concerto, con il pubblico degli studenti, un po’ intimidito, invitato dal musicista bresciano a cantare il ritornello della canzone “Babahò, bèd a holim”. Dopo l’esecuzione di “Come Giona”, che rimanda alla figura del profeta ebraico, è la volta di “Guerra civile”, una canzone sempre presente nei concerti di Gazich, che ci riporta alla tragedia che colpì Brescia cinquant’anni fa, la bomba in piazza Loggia. La conclusione di questa mattinata di memoria, con la musica ad aiutare la riflessione civile, è affidata alla canzone “Il latte nero dell’alba”, un brano che trae spunto da una poesia di Paul Celan (1920 – 1970), ebreo che perse entrambi i genitori nei campi di concentramento. Per questo Paul ha vissuto l’intera esistenza con il peso di essere l’unico sopravvissuto della famiglia. Angosciato dai sensi di colpa si tolse la vita gettandosi nella Senna. Una canzone drammatica nella quale però il latte nero (il dolore e l’orrore) viene illuminato dalla luce dell’alba, che è il seme di quella speranza che soprattutto i giovani devono coltivare.