"Fame": una scuola per l'arte e per la vita
Sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre al Teatro Clerici di via San Zeno il musical tratto dalla serie tv culto degli anni Ottanta/Novanta ambientata nella High School of Perfoming Arts di New York, dove tanti giovani costruivano il loro sogno. Intervista a Garrison Rochelle
Anche in questa nuova stagione il Teatro Clerici si conferma la casa bresciana del grande musical. Dopo “Caino e Abele” del 9 novembre scorso, il 30 novembre e il 1° dicembre, arriva in via San Zeno “Fame. Saranno Famosi”. Il musical ispirato all’omonimo film e a una delle serie tv più famose e indimenticabili, ha regia e coreografie di Luciano Cannito. Sul palco, insieme a Barbara Cola (Miss. Sherman), Lorenza Mario (Miss Bell), Stefano Bontempi (Mr. Sheinkopf) e a un gruppo di giovanissimi artisti, che anche Garrison Rochelle, ballerino e coreografo apprezzatissimo dal pubblico che l’ha adottato sin dal suo arrivo in Italia negli anni Ottanta del secolo scorso. Proprio Garrison, che è stato per anni una delle colonne portanti di “Amici”, racconta in questa intervista il musical che sta per arrivare a Brescia.
Partiamo da un po’ di storia. “Fame”, nato prima come film e poi come serie tv, ha aiutato tanti giovani a sognare. Erano veramente così le scuole d’arte americane di quegli anni?
Sì. Anch’io negli anni in cui era una delle serie tv più seguite al mondo, ero affascinato dall’universo che “Fame” raccontava. Per me quelli erano gli anni dell’avvio della mia carriera e nelle aspettative, nelle speranze, nelle paure e nelle fragilità degli studenti della High School of Perfoming Arts di New York vedevo me stesso, con tutte le mie speranze. Come loro affrontavo ogni giorno la sfida di costruire il mio futuro. In quegli anni per me la serie “Fame” ha rappresentato tanto. Nel prosieguo della mia carriera, poi, ho avuto la fortuna di lavorare con alcuni dei suoi interpreti. Ho lavorato in una edizione di “Buona Domenica” di Canale 5 con Gene Antony Ray, che interpretava il ballerino Leroy Johnson, ho lavorato con Debby Allen a cui era affidato il ruolo della professoressa di danza Lydia Grant
Quanto c’è nel vostro musical di quel mondo?
Luciano Cannito, che del musical è regista e coreografo, è riuscito a portare in scena mondo di quel mondo, pur facendone una attualizzazione. Gli studenti e gli insegnanti sono personaggi di oggi. Vivono di arte, di sogni, di frustrazioni, certo, ma non si dimenticano del mondo che c’è fuori dalle stanze della scuola d’arte. In scena vengono affrontate anche tematiche sociali importanti. La risposta che ogni sera arriva dal pubblico in teatro conferma che la scelta di Cannito è stata vincente: ha messo in scena uno spettacolo fedele all’originale ambientandolo, però, ai nostri giorni, andando oltre l’effetto “nostalgia”.
Ballerino e coreografo, lei si dedica anche a far crescere giovani generazioni di artisti. Quanto mette di tutto questo nel personaggio che porta in scena ogni sera?
Quando Cannito mi ha chiamato per il ruolo di Mr Myrers, l’insegnante di recitazione ho accettato con entusiasmo perché, dopo gli anni trascorsi ad “Amici” mi sentivo pronto per portare in scena il ruolo di un insegnante che ogni giorno cerca di aiutare i suoi allievi a crescere come artisti, ma anche come persone per attrezzarli a confrontarsi con un mondo impegnativo, che non riserva solo fama e successo. Cannito chiamandomi per il ruolo di Mr Myrers, l’insegnante di recitazione mi ha chiesto di portare in scena me stesso. Mi è stato molto vicino, come tutto il resto del cast, per aiutarmi a dare il meglio in questa sfida, soprattutto sul versante interpretativo. Non ci vuole molta immaginazione a immaginare le difficoltà che posso avere incontrato a recitare in un italiano fluente (ride!)
Mr. Myrers è un insegnate che, come Garrison, non nasconde sentimenti ed emozioni...
Sì, il regista mi ha chiesto proprio questo. Nel musical, infatti, c’è tanto spazio anche per le emozioni che emergono non solo per la bravura e il mestiere degli attori in scena. Devo dire che da questo punto di vista per me “Amici” è stata davvero una grande scuola.
Lei e Cannito avete lavorato per anni ad “Amici”, altri interpreti arrivano da questo mondo. Il pubblico, soprattutto quello di giovani e giovanissimi che fa registrare in ogni piazza il sold out si aspetta di assistere a una trasposizione in forma di musical, dell’universo dei talent?
Non so se il pubblico arrivi in teatro per assistere alla rappresentazione di qualcosa di simile al talent. Dalle sue risposte a cui assistiamo ogni sera, mi pare di poter dire che quello a cui assiste non lo delude, anzi. In scena non c’è nulla che strizza l’occhio a quel mondo, ma un gruppo composito di persone impegnato a coltivare con impegno e dedizione, l’uno accanto all’altro, il proprio sogno.
Come si trova a portare in scena ogni sera la figura di un professore di recitazione?
Molto, molto bene. Quello che sto vivendo in questo momento è forse uno dei momenti più belli della mia vita e non solo da un punto di vista artistico. A 69 anni mi è stata data un’occasione straordinaria. Essere ogni sera sul palco con artisti straordinari e con un gruppo di giovani si altissimo livello è la migliore delle cure antietà. Oltretutto mi scopro di replica in replica a imparare tanto, e questo è entusiasmante.
Il musical aiuta a far passare l’idea ogni sogno richiede fatica, sofferenza e impegno e richiede la coltivazione giorno dopo giorno del proprio talento artistico?
Sì, è una delle chiavi di lettura dello spettacolo che Cannito ha ideato. I social oggi tendono a far passare l’idea che la fatica, l’impegno, lo studio, ma anche la sofferenza e le delusioni oggi non siano più compagne di viaggio di chi decide di coltivare un sogno. Quelle che propongono sono scorciatoie effimere. Il musical, che porta in scena spaccati di vita reale, indica, invece, che coltivare un sogno costa fatica, ma questa alla fine è l'unica via che aiuta a tradurre il sogno in realtà e a dargli continuità.
Quella che arriva a Brescia nei prossimi giorni è una produzione più vicina a quelle di Broadway o del West End di Londra o alla tradizione della commedia musicale italiana?
Credo che la nostra produzione possa andare senza alcun problema in quelle che sono le capitali mondiali del musical. Non abbiamo niente da inviare a nessuno!