Sea Watch e Sea Eye: odissea conclusa
Dopo 19 giorni dal salvataggio delle prime 32 persone e un lungo periodo di tempo trascorso al largo delle coste maltesi hanno toccato terra a Malta le 49 persone a bordo delle navi. La svolta possibile grazie all’accordo che li distribuirà in 8 Paesi europei: Germania, Francia, Portogallo, Irlanda, Romania, Lussemburgo, Olanda e Italia.
La lunga e penosa odissea delle 49 persone a bordo delle navi delle Ong Sea Watch e Sea Eye si è conclusa ieri, dopo 19 giorni dal salvataggio delle prime 32 persone e un lungo periodo di tempo trascorso al largo delle coste maltesi. I migranti, tra cui donne e bambini, ora sono tutti a terra a Malta, dopo l’annuncio del premier maltese Joseph Muscat dell’accordo europeo che li distribuirà in 8 Paesi: Germania, Francia, Portogallo, Irlanda, Romania, Lussemburgo, Olanda e Italia che ne accoglierà dieci, come è stato comunicato dal governo al termine del vertice notturno, necessario per superare la posizione del ministro dell’Interno Matteo Salvini che a più riprese aveva ribadito il suo no “all’arrivo di migranti”.
“Siamo contenti che si sia riusciti ad arrivare a una soluzione europea, anche se questo ha preso molto tempo e dimostra che sia necessario organizzarsi per avere una soluzione redistributiva immediata. Non è possibile che lo scarico sia condizionale al raggiungimento di un accordo tra Stati membri”, ha affermato Giorgia Linardi, portavoce di Sea-Watch, appena ricevuta la notizia dello sbarco ha ringraziato “tutta la società civile che si è mossa in questi giorni e ha dimostrato una grande solidarietà”. In particolare, le organizzazioni di United4Med, che hanno dato il loro supporto, e “tutte le persone che si sono rese disponibili su ogni livello, dai porti al cibo. Per noi significa tantissimo perché dimostra che c’è un’Europa diversa”. “Siamo contenti di poter finalmente liberare le persone che sono imprigionate da quasi 20 giorni a bordo. Ci rendiamo conto dello sforzo di Malta che non può farsi carico degli sbarchi di tutte le navi soccorse anche al di fuori della propria area Sar. Crediamo che sia responsabilità degli Stati membri trovare un accordo sulla redistribuzione, ma non è possibile aspettare 20 giorni per uno sbarco perché non riescono ad accordarsi”. Secondo i dati dell’Unhcr nel 2018, 116.674 persone hanno raggiunto l’Europa attraversando il Mediterraneo, una riduzione significativa rispetto agli anni precedenti ed un ritorno ai livelli pre-2014. Il viaggio è diventato però più pericoloso. Una vita ogni 50 persone che hanno tentato la traversata è andata perduta.
Immediate le reazioni della società civile, tutte improntate alla soddisfazione per l’accordo raggiunto ma unite alla richiesta che una vicenda del genere non accada più. L’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha espresso “preoccupazione per il fatto che una soluzione alla difficile situazione delle persone soccorse in mare sia arrivata dopo così tanto tempo – più di 18 giorni nel caso del Sea Watch 3, nonostante a bordo ci fossero anche donne e bambini. Questo è inaccettabile”. “Il salvataggio in mare non termina quando si recupera qualcuno dall’acqua, le persone soccorse devono essere portate a terra e in un luogo sicuro il più rapidamente possibile”, ha affermato Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. “L’imperativo di salvare vite umane viene prima della politica e non può rappresentare una responsabilità che viene negoziata caso per caso”.
“Migranti salvati, finalmente! La nostra soddisfazione e la richiesta che non si ripeta ancora”: ha affermato il Centro Astalli, ribadendo però “l’imprescindibilità di un’assunzione di responsabilità condivisa da parte dei governi europei per affrontare efficacemente la migrazione forzata, nel rispetto dei diritti umani fondamentali e della dignità della persona”. Il Centro dei gesuiti per i rifugiati ha sottolineato inoltre “la necessità di garantire che a ciascuno dei migranti sia garantito il pieno accesso alle procedure di asilo in modo che possano ottenere la protezione di cui hanno bisogno”.
Stesso invito ai governi europei perché “assumano le proprie responsabilità nei confronti dei migranti in difficoltà in mare” è venuto dalla Commissione degli episcopati dell’Ue (Comece), che si è unita all’appello della Conferenza episcopale di Malta: non possiamo rimanere “sordi di fronte al grido di coloro che soffrono”. Tuttavia, precisano, “gli sforzi compiuti dalla Chiesa cattolica e dalla società civile nell’accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti non possono sostituire la responsabilità dei governi di assicurare che i nuovi venuti siano salvati quando sono bloccati in mare, portati in un luogo sicuro, trattati in modo umano e forniti dell’assistenza necessaria”.
“Tutti quanti noi abbiamo accolto con un sospiro di sollievo la conclusione di questa vicenda”. Così don Giovanni de Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes, a Vatican news. Don De Robertis ha sottolineato che “non si tratta di una vittoria degli scafisti, non si tratta di terroristi, di delinquenti”, ma “di esseri umani, in fuga dalla guerra, dalla fame”; e, in secondo luogo, che non è possibile che sia la povera gente a pagare “le divisioni fra le nazioni europee”, gli “egoismi nazionali” e i “calcoli elettorali”. “Le migrazioni devono essere sicure, legali e ordinate”. Non si può pensare che il problema si risolva “semplicemente impedendo” gli sbarchi: “Bisogna andare alla radice di queste realtà, vedere in che condizioni si trova una buona parte dell’umanità. E agire in questo ambito, dalla vendita delle armi a una maggiore giustizia sociale”. Purtroppo “oggi si bada di più al calcolo elettorale”, “di bottega”, invece di “pensare alla crescita e al bene dell’Europa e dei suoi Paesi”, “oltre che di queste persone”. L’avvicinarsi delle elezioni europee, ha concluso, “non aiuta a guardare con obiettività la realtà”, e tanti sono tentati di “cancellare il volto umano di queste persone”.
“Dopo aver trascorso quasi tre settimane sballottate in mezzo al mare in tempesta, queste persone possono ora trovare salvezza sulla terra ferma. Ma il fatto che ci sia voluto così tanto tempo è vergognoso. “Lo spettacolo pericoloso e indecente offerto da leader politici che battibeccavano mentre donne, uomini e bambini erano abbandonati in un mare di crudele indifferenza non deve più ripetersi”. Questo è il commento di Elisa De Pieri, ricercatrice di Amnesty International sull’Europa meridionale. “Le autorità italiane e maltesi, dopo aver spudoratamente compromesso il sistema di ricerca e soccorso in mare – ha affermato -, usano le persone come pedine di un negoziato sulle politiche in tema d’immigrazione. Il loro cinico disprezzo per la salvezza delle persone è stato rafforzato dal comportamento inumano dei leader europei, che hanno evitato di fornire immediata assistenza alle 49 persone”. “Gli Stati membri dell’Unione europea – ha precisato De Pieri – devono smetterla di girare le spalle alle persone lasciate a se stesse in mare e condividere urgentemente una politica sugli sbarchi rapida, attuabile e che rispetti il diritto internazionale e un equo sistema di distribuzione dei richiedenti asilo all’interno dell’Unione europea”.