Medio Oriente: la lenta agonia dei cristiani
In Medio Oriente i cristiani vivono in condizioni peggiori rispetto a quelle sperimentate durante l’occupazione dell’Isis. Questo peggioramento è particolarmente marcato in Siria, nazione in cui, nel giro di un decennio, il numero di cristiani è crollato da 1,5 milioni ai circa 500mila attuali. Se le perduranti violenze islamiste nel nord del Paese dovessero condurre a un risveglio del jihadismo, il cristianesimo nella sua antica culla subirebbe un colpo mortale, non solo perché i numeri dei cristiani sono così modesti, ma anche perché la loro fiducia è molto fragile. Per questo, in assenza di sicurezza, la spinta ad abbandonare la Siria resta quasi irresistibile. Il desiderio di andarsene viene inoltre amplificato da un contesto culturale che rimane avverso ai cristiani, i quali sono trattati come cittadini di seconda classe e discriminati nella vita sociale, sia a scuola sia sul posto di lavoro. Il capo della Chiesa cattolica melchita di Siria, il Patriarca Youssef Absi, in un colloquio con la Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), ha spiegato che è sempre più difficile dare speranza ai cristiani, soprattutto ai giovani: “Molti di loro sono disperati, non hanno più fiducia nelle istituzioni. Ecco perché se ne vanno. Stiamo facendo tutto il possibile per aiutare i nostri fedeli, per fornire loro i servizi essenziali, ma non possiamo sostituire i governi. Senza supporto non possiamo più convincerli a restare”. Nonostante tutte le difficoltà, lo sforzo deve continuare, ha aggiunto il Patriarca, poiché la prospettiva di un Medio Oriente senza cristiani è inaccettabile.
Libano. Youssef Absi ha offerto l’esempio del Libano, definendolo “molto importante, e non solo per il Medio Oriente, perché la convivenza tra musulmani e cristiani libanesi è stata ed è un esempio per tutto il mondo”, ha aggiunto il Patriarca.
All’indomani delle esplosioni verificatesi a Beirut il 4 agosto 2020, il cui impatto maggiore è stato avvertito nel quartiere cristiano, i leader delle Chiese che sono in Libano hanno addirittura messo in dubbio la sopravvivenza a lungo termine della comunità. Il cardinale Béchara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, in un colloquio con ACS ha affermato: “I rifugiati siriani, un milione e mezzo, sono ora in mezzo a noi. Nessuno ha chiuso le frontiere, a scapito dei libanesi che vivono nella povertà. Ora ci sono due milioni di profughi. Noi stiamo perdendo il nostro popolo con un’emorragia migratoria. Abbiamo perso, e perdiamo tutti i giorni, i migliori medici, i migliori professori universitari, i migliori ingegneri, i migliori operatori finanziari perché con la svalutazione della lira libanese rispetto al dollaro i salari sono diventati una nullità. Un dollaro valeva, un anno e mezzo fa, 1.500 lire libanesi, adesso ne vale 25.000”. Questa minaccia esistenziale si estende a Israele e Palestina.
Palestina. I continui attacchi da parte di gruppi militanti ortodossi hanno portato i leader della Chiesa a parlare di un tentativo sistematico di allontanare la comunità cristiana da Gerusalemme e da altre aree della Terra Santa. Il Patriarca di Gerusalemme dei latini, il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, ha recentemente sottolineato come in Israele ci siano circa 130mila cristiani arabi autoctoni, mentre in Palestina sono inferiori a 50.000 unità. Mentre il numero di cristiani in Israele è percentualmente stabile, in Palestina il declino è lento ma continuo. Questo era il quadro fino alla mattina del 7 ottobre scorso, quando Hamas ha sferrato il brutale attacco a Israele, determinando uno sconvolgimento i cui effetti a medio-lungo termine sono del tutto imprevedibili. Di certo, l’elevata instabilità regionale causata dal conflitto fra Israele e Hamas inciderà profondamente anche sulla comunità cristiana, con la probabile conseguenza di un’accelerazione dell’agonia del cristianesimo mediorientale.