L'ombra di Trump sulla Cop29 di Baku
Prende il via in queste ore nella capitale dell’Azerbaigian la conferenza annuale dell'Onu sul clima. A destare preoccupazione sono gli annunci di un totale disimpegno del neo eletto presidente Usa
Sta per prendere il via a Baku, capitale dell’ Azerbaigian, la Cop 29, la conferenza annuale dell'Onu sul clima. Quella che si sta per aprire è stata definita la Cop dei numeri. E la cifra è una: 1.000 miliardi di finanza climatica, il meccanismo di finanziamento volto a sostenere gli interventi necessari per attenuare e adattarsi ai cambiamenti climatici. Sarà proprio questa la misura del successo del meeting, che si apre con la sfilata dei capi di Stato e dei ministri dell’Ambiente, che lasceranno spazio ai negoziatori, coadiuvati dai cosiddetti sherpa, i portatori d’acqua, le persone - cioè - che preparano i materiali per passare poi la palla ai decisori politici incaricati di imprimere i sigilli.
Un meccanismo complesso, che si ripete ogni dodici mesi dagli anni Novanta, quando il mondo cominciò a cercare una strategia globale di governo del clima. Erano altri tempi, la fine del mondo bipolare e della Guerra Fredda spalancava le porte alla globalizzazione e al sogno di un coordinamento globale che consentisse di affrontare in maniera congiunta le grandi questioni della modernità. Possibilmente, evitando guerre. Le Cop sono figlie di quella stagione, che nel 2001 vide l’ingresso della Cina (paese ancor oggi comunista) nell'Organizzazione mondiale del Commercio, il Wto: un ossimoro, ma anche segno di tempi in cui i lembi opposti si avvicinavano.
Il mondo di oggi è molto diverso. Pechino in trent’anni è uscita (di fatto, non de iure) dal sottosviluppo, diventando una superpotenza. Una distinzione non banale, soprattutto nell’anno della finanza, grande tema di questa assise: perché il Dragone, secondo le tabelle della Convenzione delle Nazioni Unite che governa le Cop (il cosiddetto Allegato 1), è considerato ancora in via di sviluppo. Significa che non è formalmente chiamato agli stessi impegni economici dei grandi inquinatori. Anche se oggi è in testa alle classifiche delle emissioni, davanti persino agli Stati Uniti.
A Baku, sino al 22 novrembre, si proverà a definire il New Collective Quantified Goal (acronimo Ncqg). Si tratta di passare dai cento miliardi di finanza climatica previsti a Copenhagen nel 2009 e raggiunti solo, in ritardo, nel 2022, ai già ricordati 1.000. I primi due giorni della Cop29 sono dedicati al summit dei capi di Stato e di governo. Tra le prime delegazioni ad arrivare, già la settimana scorsa, è stata quella americana. Il significato è mostrare che alla Conferenza si decide davvero: i leader ripartiranno subito lasciando spazio ai negoziatori, per tornare negli ultimi giorni in tempo per il sigillo finale.
Tanti i forfait quest’anno da parte dei grandi del Pianeta, per cui non ci saranno figure apicali: non ci sarà il presidente americano uscente Joe Biden, come anticipato nei giorni scorsi. Assente anche Ursula von der Leyen, alle prese con la formazione della nuova Commissione europea, che dovrebbe entrare in carica a inizio dicembre; e pochi saranno gli europei con ruoli di leadership. Al suo posto, il commissario olandese per l’azione climatica (probabilmente confermato) Wopke Hoekstra, che ha la fama di ottimo diplomatico. La posizione negoziale europea ha risentito dell’impatto della tragica alluvione di Valencia dei giorni scorsi, con la necessità di dedicare maggiori risorse all’adattamento.
Pare mancherà il cancelliere tedesco Scholz, che si è trovato coinvolto in una crisi di governo. Mancherà il presidente francese Emmanuel Macron, per questioni legate agli interessi francesi nella questione azera-armena: relazione complicata, tanto che la maggior parte delle ong francesi non sarà presente, mancherà l'agenzia di sviluppo transalpina e ai delegati è stato imposto un training ulteriore sulla sicurezza.
Dovrebbe invece esserci il Regno Unito, così come la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, con il suo staff. Cina, Giappone, Australia (altro grande inquinatore) e Messico sono dati per assenti. Il presidente brasiliano ha dichiarato forfait un mese fa per un trauma cranico, ma potrebbe cambiare idea.
A tenere banco in queste ultime ore sono i risultati delle elezioni americane, con la vittoria di Donald Trump su Kamala Harris. Trump, che nel 2016 aveva ritirato gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi; era stato poi Joe Biden ad aggregarsi di nuovo alla compagine appena arrivato alla Casa Bianca, ha già annunciato un nuovo addio.
Trump, infatti, ha manifestato l’intenzione di recedere ancora una volta da Parigi, ma di più: si tratterebbe, ora, di uscire addirittura dalla Convezione delle Nazioni Unite che sovrintende alle Cop. Vorrebbe dire che gli Usa non parteciperebbero neppure ai negoziati per definire le politiche mondiali sul clima. Semplicemente, li ignorerebbero, e farebbero quello che vogliono. Quello che vuole Trump, lo ha più volte ripetuto nel corso della sua in campagna elettorale: "Drill, drill, drill", ovvero trivella a più non posso, petrolio e gas. Fonti fossili che danno agli Usa l'autosufficienza energetica, e lo rendono pure paese esportatore. Ma che aumentano anche l'effetto serra e le sue conseguenze, come si è visto a Valencia.
A poche ore dall’avvio alla Cop29 sono arrivati gli auguri di papa Francesco. Al termine dell'Angelus di ieri ha auspicato che “la Conferenza sui cambiamenti climatici Cop29, che inizierà domani a Baku, dia un contributo efficace per la tutela della nostra casa comune”. L’auspicio del Papa è arrivato a tre anni dall'avvio della piattaforma di iniziative Laudato si', lo spazio condiviso in cui la Chiesa sviluppa risposte alla crisi ecologica nel solco dell'omonima enciclica di Francesco.