Card. Pizzaballa: le bombe porteranno solo odio
A dirlo è il patriarca latino di Gerusalemme che, in una lettera alla diocesi, in cui descrive quello attuale come “uno dei periodi più difficili e dolorosi della nostra storia recente”. Da Betlemme la drammatica testimonianza di suorFayeza Ayad, delle Francescane minime del Sacro Cuore
“La coscienza e il dovere morale mi impongono di affermare con chiarezza che quanto è avvenuto il 7 ottobre scorso nel sud di Israele, non è in alcun modo ammissibile e non possiamo non condannarlo. Non ci sono ragioni per una atrocità del genere. Si, abbiamo il dovere di affermarlo e denunciarlo. Il ricorso alla violenza non è compatibile col Vangelo, e non conduce alla pace. La vita di ogni persona umana ha una dignità uguale davanti a Dio, che ci ha creati tutti a Sua immagine”. A ribadirlo è il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, in una lettera alla diocesi, diffusa ieri, in cui descrive quello attuale come “uno dei periodi più difficili e dolorosi della nostra storia recente”. “La stessa coscienza, tuttavia, con un grande peso sul cuore – scrive il cardinale – mi porta oggi ad affermare con altrettanta chiarezza che questo nuovo ciclo di violenza ha portato a Gaza oltre cinquemila morti, tra cui molte donne e bambini, decine di migliaia di feriti, quartieri rasi al suolo, mancanza di medicinali, acqua, e beni di prima necessità per oltre due milioni di persone. Sono tragedie che non sono comprensibili e che abbiamo il dovere di denunciare e condannare senza riserve. I continui pesanti bombardamenti che da giorni martellano Gaza causeranno solo morte e distruzione e non faranno altro che aumentare odio e rancore, non risolveranno alcun problema, ma anzi ne creeranno dei nuovi. È tempo di fermare questa guerra, questa violenza insensata”.
Altre parole tragiche arrivano da Betlemme dove la situazione si fa ogni giorno più critica e tesa. “La città è ‘sigillata’ – è la testimonianza di suor Fayeza Ayad, delle Francescane minime del Sacro Cuore - nessun palestinese può entrare o uscire perché Israele ha chiuso ogni varco con blocchi di cemento. Solo un check point risultava aperto ma esclusivamente per i cittadini stranieri. Stiamo praticamente vivendo sotto assedio”. La religiosa, da oltre 20 anni a Betlemme, sa bene cosa significhi vivere sotto assedio perché, ricorda, “ero dentro la Natività quando, il 2 aprile del 2002, dentro la chiesa penetrarono oltre 240 miliziani palestinesi armati (appartenenti a Brigate al-Aqsa, Jihad islamica e Hamas, ndr.) per sfuggire alla cattura da parte dell’esercito di Israele (Idf)”. In piena Seconda Intifada (2000-2005), le più grandi città della Cisgiordania, Ramallah, Jenin, Tulkarem, Qalqilya, Nablus e Betlemme, erano state invase dall’esercito israeliano. Quest’ultimo il 29 marzo 2002 aveva lanciato l’operazione “Scudo di difesa” in risposta agli attentati dei terroristi palestinesi delle settimane precedenti.
Per circa 40 giorni (dal 2 aprile al 10 maggio 2002, ndr.) – dice la religiosa – abbiamo vissuto sotto assedio dentro la Natività, con i carri armati israeliani fuori nella piazza e i miliziani barricati nella chiesa”. Quaranta giorni vissuti da ‘occupati’ da dentro e ‘assediati’ da fuori: “Oggi, dopo più di 20 anni, provo lo stesso dolore e la stessa preoccupazione” alimentati anche dalle notizie di gravi scontri tra palestinesi e esercito israeliano che arrivano da città della Cisgiordania come Ramallah, Jenin, Tubas e Nablus. Nella stessa Betlemme l’esercito israeliano, secondo quanto riferito al Sir da fonti locali, negli ultimi giorni è entrato in città più volte per arrestare delle “persone sospette”. “Questa volta, però, – avverte suor Fayeza – leggo nei volti delle persone una paura più grande”. L’eco del bombardamento di Gaza e delle città israeliane evacuate rimbalza fino a Betlemme. “Nella Striscia ogni giorno si consuma una tragedia senza fine con morti, uccisioni, feriti, vite violate. Le parti in lotta colpiscono anche ospedali, chiese, civili. Noi non possiamo fare altro che pregare per le vittime, tutte, per i feriti, per la fine delle ostilità, per la pace. Io e le mie due consorelle, una brasiliana, una dello Sri Lanka, preghiamo ogni giorno davanti all’Eucarestia con queste intenzioni dentro la Basilica chiusa. Spesso ci chiediamo dove sia Dio in tutto questo ma sappiamo che il Signore ascolta il nostro grido e che dobbiamo essere forti nella tribolazione. Ci ha ascoltato durante l’assedio della Natività, lo farà anche adesso”.
Dal 7 ottobre Betlemme è una città deserta: “I pellegrini – continua ancora la religiosa - sono andati tutti via, gli alberghi hanno chiuso, i negozi sono vuoti e fanno fatica a rifornirsi di cibo e beni primari. Tutto è fermo, anche le scuole. L’economia è collassata, non c’è lavoro. La povertà è tornata a bussare alle porte della popolazione”. “Peggio ora di quando c’era il Covid – sottolinea suor Fayeza -. Cerchiamo di fare il possibile per dare una mano alle famiglie fornendo loro soprattutto cibo e medicine. Ci capita molto spesso ormai di accompagnare madri di famiglia nei mercati per acquistare cibo, latte, acqua, pane. Non hanno soldi e provvediamo noi per quel che possiamo. La nostra prima preoccupazione sono i bambini. Non sanno cosa è la guerra ma ne vivono le conseguenze sulla loro pelle. Tante famiglie sono a casa, padri rimasti senza lavoro, disabili, anziani soli che devono essere accuditi. Sono più di 20 anni che sono a Betlemme e conosco tante famiglie grazie alla mia lunga esperienza di insegnamento alla Terra Santa School”. Ma non ci sono solo famiglie da aiutare: “A Betlemme, subito dopo il 7 ottobre, si sono rifugiati sei giovani di Gaza che prima della guerra lavoravano a Gerusalemme come semplici operai in alcune ditte israeliane. Quando sono arrivati – rivela la suora – non avevano altro che una busta con pochi indumenti e qualche medicina per curarsi. Con la parrocchia abbiamo cercato di aiutarli e metterli in contatto con la municipalità perché abbiano quantomeno un tetto dove stare con dignità e sicurezza”.
Il rumore dei razzi e dei missili si sente anche sui cieli di Betlemme: “Qualche giorno fa – ricorda suor Fayeza – eravamo a pregare quando abbiamo sentito il sibilo di un missile che è caduto in un campo aperto a Beit Jala. La gente è rimasta impietrita dalla paura perché non sapeva cosa fare. Non sappiamo chi lo abbia lanciato ma la paura sale ogni giorno di più. Per quanto ci riguarda noi resteremo accanto alla nostra gente, questa è la nostra vocazione. Non ho paura della morte ma sento di dover stare in mezzo a loro, musulmani, cristiani, di ogni credo perché la persona umana e la sua dignità va rispettata a tutti i livelli. Pregando nella grotta della Natività, ormai vuota, ho chiesto a Gesù che la guerra finisca presto. So che ci farà questa grazia”.
“La Terra Santa – conclude – non può essere solo Golgota ma deve essere anche e soprattutto il sepolcro vuoto della Resurrezione. Per questo in momenti come l’attuale preghiamo il Triduo pasquale perché, dopo il Venerdì santo, viene sempre la Domenica di Resurrezione”.