Venezuela: fuga dalle città
È l’altra faccia del Venezuela. Quella che preferisce “essere schiava” che “morire di fame”. La racconta al Sir don Giannino Prandelli, missionario fidei donum della diocesi di Brescia, in servizio pastorale a El Callao, nello stato del Bolivar
È l’altra faccia del Venezuela. Quella che preferisce “essere schiava” che “morire di fame”. La racconta al Sir don Giannino Prandelli, missionario fidei donum della diocesi di Brescia, in servizio pastorale a El Callao, nello stato del Bolivar. Si tratta della zona orientale del Paese, non lontana dal confine con la Guyana. Se li si guarda dalle immagini satellitari, i dintorni della città sono connotati da continue “cicatrici” che in modo ben visibile “rompono” il verde della foresta: sono le miniere, soprattutto d’oro. Una presenza, quella delle miniere, che sta diventando un irresistibile “magnete”, come spiega don Giannino: “Qui da noi le proteste contro Maduro sono state più limitate, si pensa a sopravvivere, lavorando in condizioni estreme. Tuttavia, in tanti stanno scappando dalle città, dove manca tutto, dal cibo ai medicinali, per venire qui. Tutti cercando l’oro, l’unica cosa che in questo paese sta mantenendo il suo valore. El Callao era una città di 40mila abitanti, ora si parla che nella zona ci siano 300mila minatori, ma le persone potrebbero essere molte di più, considerando le famiglie e le attività economiche collaterali”.
Mentre milioni di venezuelani emigrano all’estero, i flussi interni portano qui. Ma El Callao tutto è fuori che un “paradiso”: “Di fronte all’afflusso di tante persone mancano servizi essenziali, ci sono problemi di rifornimento d’acqua, la luce e il gas arrivano quando arrivano… E poi la gente deve lavorare molto, spesso sottomessa a bande armate, che tolgono una percentuale significativa ai pochi guadagni dei minatori”. Un po’ meglio va “a chi è occupato nelle grandi imprese dove viene lavorato il materiale aurifero”. Insomma, “una condizione pesante ma, evidentemente, preferita alla città”.