Utero in affitto? Un paradosso. L'intervista dell'Agensir a don Adriano Bianchi
Da un lato la società chiede più rispetto per la donna, dall'altro permette questa nuova schiavitù. Lo sostiene don Adriano Bianchi in un'intervista rilasciata all'Agensir e qui riproposta
È il parere espresso da don Adriano Bianchi, direttore del settimanale “La Voce del Popolo” di Brescia, sulla pratica dell’utero in affitto, al centro delle cronache di questi giorni. C’è un altro aspetto che don Bianchi sottolinea: “Le madri surrogate vengono, di solito, dai paesi più poveri del mondo o anche quando sono di Paesi più ricchi, come gli Stati Uniti, sono comunque quelle che hanno maggiori problemi economici. Si tratta, insomma, di una forma di schiavitù”. Dunque, viviamo “il paradosso di una società sempre più attenta al ruolo della donna e della sua della sua dignità, ma nella quale la essa viene strumentalizzata e usata come un oggetto, non più sessuale, ma al fine della maternità. Una finalità ugualmente non è rispettoso della sua dignità”.
Si dimentica che “il diritto di venire al mondo è del bambino”, mentre “c’è una società che continua a perseguire il desiderio individuale delle persone, che non ha mai fine. Se il desiderio è di avere un figlio a tutti i costi, la legislazione e i media ci vanno dietro, dimenticando che una politica e anche un sistema comunicativo dovrebbero aiutare la società a cercare non il meglio del singolo, ma il bene della comunità”. Anche per l’utero in affitto “ci troviamo di fronte a una comunicazione che asseconda e continua ad alimentare il desiderio del singolo, a svantaggio del bene della comunità. Bisogna costruire, invece, la società in modo che anche nel nostro domani al centro ci sia il diritto del bambino. Se bisogna perseguire il desiderio individuale di tutti, sarà un desiderio che non avrà mai fine. Oggi non sappiamo ancora la frontiera successiva del desiderio, ma prima o poi arriverà…”. “Non è più il diritto della persona, ma il diritto del mio desiderio di essere assecondato, anche a scapito della dignità della persona e del bene della società – ribadisce don Bianchi -. E purtroppo la comunicazione fa il verso a questa situazione. La comunicazione anche in questo caso ha perso un’etica sociale, perseguendo un’etica individuale”.
REDAZIONE ONLINE
02 mar 2016 00:00