Tre encicliche
Tre encicliche in otto anni di pontificato: due dedicate ad altrettante virtù teologali – l’amore e la speranza – e la terza alla dottrina sociale della Chiesa. La prima enciclica di Papa Benedetto, Deus caritas est, è stata pubblicata il 25 gennaio 2006, dopo nove mesi di pontificato, firmata esattamente un mese prima, nel Natale 2005 e annunciata – in modo fino ad allora irrituale – il 18 gennaio 2006, nel corso dell’udienza generale, in cui Benedetto XVI si soffermò sui concetti chiave della sua enciclica sull’amore cristiano: eros ed agape, viste come due dimensioni coessenziali dell’amore che si richiamano reciprocamente e che trovano la loro espressione più profonda, rispettivamente, nella famiglia fondata sul matrimonio e nelle relazioni fraterne che devono animare la società. L’Enciclica è articolata in due grandi parti. La prima offre una riflessione teologico-filosofica sull’”amore” nelle sue diverse dimensioni – eros, philia, agape – precisando alcuni dati essenziali dell’amore di Dio per l’uomo e dell’intrinseco legame che tale amore ha con quello umano. La seconda parte tratta dell’esercizio concreto del comandamento dell’amore verso il prossimo. La seconda enciclica di Benedetto XVI, Spe Salvi, è ispirata ad una frase di San Paolo: “Nella speranza siamo stati salvati” (Rm 8,24). La speranza cristiana non ha una dimensione solamente terrena, argomenta Benedetto: Gesù Cristo, infatti, ci ha condotto all’“incontro con una speranza che era più forte delle sofferenze della schiavitù e che per questo trasformava dal di dentro la vita e il mondo”. La speranza cristiana, inoltre, non è in “qualcosa” ma in “Qualcuno”: è la fonte della vera libertà, in contrapposizione con i falsi miti del progresso e della scienza. Quest’ultima, in particolare “non redime l’uomo”, scrive il Papa, anzi, se male utilizzata, “può anche distruggere l’uomo e il mondo”.
Quattro i luoghi della speranza indicati da Ratzinger: la preghiera, in quanto Dio non nega mai il suo ascolto; l’azione che implica soprattutto il lato altruistico della speranza, l’impegno affinché “il mondo diventi un po’ più luminoso e umano”; la sofferenza che “permette di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore” e il giudizio di Dio, ovvero la giustizia divina finale che “revoca” la sofferenza passata. Firmata il 29 giugno 2009, anche la terza enciclica, Caritas in Veritate, è ispirata a una frase di San Paolo: “Agire secondo la verità nella carità” (cfr Ef 4,15). La carità, spiega Benedetto XVI nell’introduzione, “è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa” e, dato “il rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico”, va coniugata con la verità. Ricordando il messaggio sempre attuale della Populorum progressio (1967) di Paolo VI, Ratzinger si sofferma sul concetto di “bene comune”, messo in pericolo da fenomeni degenerativi come la finanza speculativa, la cattiva gestione dei flussi migratori, lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra, i tagli indiscriminati alle spese sociali. Per superare la crisi economica globale e le disuguaglianze sociali sempre più evidenti, è necessario rimettere al centro l’uomo, prima di tutto rispettando la vita umana dal concepimento alla morte naturale e rigettando pratiche come l’aborto e all’eutanasia. La stessa economia di mercato, se vuole umanizzarsi, deve smettere di “contare solo su se stessa” e di essere un “luogo della sopraffazione del forte sul debole”, riscoprendo, invece, la logica del dono. Centrale, nella Caritas in veritate, è anche il concetto di “ecologia umana”, che comporta il dovere di rispettare l’ambiente e usare in modo responsabile la natura come dono di Dio.