Sono attori di sviluppo
Gli stranieri che lavorano in Italia producono l’8,8 del pil nazionale, ma la loro presenza è ancora problematica
Una presenza importante, determinante, forse, per l’economia del Paese, ma che, come ha ricordato il card. Francesco Montenegro, presidente di Caritas italiana, durante la presentazione del Rapporto, trova un Paese ancora restio a considerarli parte di se e delle sue famiglie. Eppure questi immigrati, al di là dei punti di pil che sono in grado di produrre, sono, come ha ricordato ancora l’arcivescovo di Agrigento “cittadini che risiedono nel nostro Paese da 30 anni, che attendono la cittadinanza italiana o che hanno la cittadinanza italiana ma hanno i lineamenti di un Paese diverso. Sono i minori che non hanno esperienza migratoria ma che sono nati da cittadini immigrati e che vengono chiamati stranieri; sono gli alunni di cittadinanza non italiana. Sono le coppie miste. Sono i migranti ricongiunti, i lavoratori sfruttati nei campi agricoli; le donne sottopagate che cercano di dividersi tra la propria famiglia e l’assistenza ai nostri anziani e ai nostri bambini. Sono le donne che curano le nostre case. Sono le persone a cui affidiamo ciò che abbiamo di più caro: i nostri affetti, la casa costruita con tanti sacrifici, i nostri figli, i nostri genitori”.
“I numeri, confermati dalle cronache quotidiane, parlano chiaro – ha affermato invece mons. Nunzio Galantino, segretario della Cei –. Stiamo vivendo un’epoca caratterizzata da massicci movimenti migratori. Un gran numero di persone, che aumenta di giorno in giorno, lascia i luoghi d’origine e intraprende il rischioso “viaggio della speranza” alla ricerca di condizioni di vita più umane (4.922.085 gli stranieri regolarmente presenti in Italia al 31 dicembre scorso. ndr). Si tratta dunque di un fenomeno globale, come ha sottolineato mons. Galantino, causato da molteplici fattori; un fenomeno che comporta diverse problematiche (anche molto complesse), ma che, con altrettanta certezza, può rappresentare un’importante risorsa per la crescita umana, sociale, economica e culturale dei popoli. Occorre però, come affermato da mons. Galantino, una capacità di risposte credibili, sino a oggi mancate nel Paese. Sul piano culturale, secondo il Segretario della Cei, l’Italia non è stata capace di andare oltre una lettura per compartimenti stagni del fenomeno migratorio (considerandolo di volta in volta problema di sicurezza, economico o di integrazione).
Sul piano religioso – ha ricordato – la separazione tra fede e vita ha portato alla sottile dissociazione tra credere personale e apertura ai problemi del mondo, non può essere accettabile per chi appartiene alla Chiesa che vuol essere “senza frontiere” e “madre di tutti”.
M. VENTURELLI
11 giu 2015 00:00