Myanmar: evitiamo una guerra civile
“Il nostro è un Paese povero. La nostra gente semplice deve affrontare due sfide importanti: il Covid e il colpo di Stato. Milioni di persone hanno bisogno di cibo. Ora si parla di guerra civile. Chiedo a tutti di non costringere il Myanmar di raggiungere questo livello di tragedia”. È un grido di disperazione l’appello che il card. Charles Bo, arcivescovo di Yangon e presidente dei vescovi birmani, lancia in queste ore dal Myanmar. Era stato l’inviato delle Nazioni Unite per il Myanmar, Christine Schraner, a parlare per prima di un rischio “senza precedenti” di “guerra civile” esortando interventi urgenti per evitare una “catastrofe” e un “bagno di sangue”, in una riunione a porte chiuse del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Da quando sono scoppiate le proteste il 1 febbraio contro il colpo di stato militare, il bilancio delle vittime è drammatico: i morti hanno superato quota 500 e tra loro ci sono almeno 44 minori. Secondo i dati dell’Aapp (associazione a tutela dei prigionieri politici), sono 2.658 le persone in stato di detenzione, tra cui quattro donne e un uomo che erano stati intervistati da una troupe televisiva della CNN per le strade di Yangon la scorsa settimana. Ma quello che preoccupa di più, è la recrudescenza dei combattimenti inter-etnici. Il 27 marzo scorso, più di 10mila persone di etnia Karen sono state costrette a fuggire dalle loro case e 3mila si sono rifugiate in Thailandia a seguito di attacchi aerei notturni da parte della giunta militare su cinque aree della municipalità di Lu Thaw, nel distretto di Mutraw. Nonostante la repressione di polizia e forze militari, i manifestanti continuano a manifestare ogni giorno nelle città grandi e piccole del Paese. Da Yangon, il cardinale Bo lancia un appello di pace: “La brutale violenza contro i giovani e i civili potrebbe provocare grande rabbia e desiderio di una guerra civile”. L’arcivescovo si rivolge quindi ad “esercito, gruppi armati e manifestanti: evitate tutti i discorsi sulla guerra civile. La sua conseguenza è un’immensa sofferenza per la gente comune. La pace è possibile, è l’unica via”.
Nel messaggio “Urbi et Orbi”, Papa Francesco si è detto “vicino ai giovani di tutto il mondo e, in quest’ora, specialmente a quelli del Myanmar, che si impegnano per la democrazia, facendo sentire pacificamente la propria voce, consapevoli che l’odio può essere dissipato solo dall’amore”. Sabato sera e domenica di Pasqua, si sono svolte numerose veglie a lume di candela. “Che cosa spinge il popolo birmano, in particolare la generazione Z, a lottare con coraggio e pronti a morire, per la libertà e la democrazia e contro la giunta? È la paura di perdere la libertà e il rispetto per i diritti”, dice al Sir padre Francis S.N. “È l’amore per la dignità umana, la difesa della verità, la lotta per un futuro migliore”. Nel weekend di Pasqua, la manifestazione ha dato spazio ad un nuovo gesto simbolico: la distribuzione per le strade delle città di uova pasquali dipinte con diversi colori e fantasie. Su di esse spiccano i disegni delle tre dita alzate (simbolo delle protesta anti-colpo di Stato) e messaggi come “Buona Pasqua – Salva il Myanmar”, “Gesù, ti amo”, “Supportiamo il CDM” (il Civil Disobedience Movement) o “Abbiamo bisogno di R2P” (la norma internazionale della “Responsibility to Protect” che chiede alla comunità internazionale di fermare i crimini di massa e i crimini di guerra). “Sebbene siamo diversi e apparteniamo a tribù e religioni differenti – dice al Sir padre Francis -, noi cittadini del Myanmar siamo uniti in un unico spirito e un solo cuore. E c’è un messaggio di speranza che il Myanmar si rialzi da questa situazione oscura e perversa, come ha fatto il Signore Risorto dalla morte”.