La lezione di Losanna
Era dal 1979, epoca della rivoluzione khomeinista che Iran e Stati uniti non si parlavano. L’intesa raggiunta non fa certo svanire per incanto tanti anni di demonizzazione reciproca, ma potrebbe riaprire nuove prospettive in Medio Oriente e consegnare all’Iran sciita un ruolo di attore regionale
A coordinare i lavori e a guidare la maratona negoziale Federica Mogherini, Alto Rappresentante per la politica estera dell’Unione europea. È stata proprio quest’ultima ad annunciare l’intesa sui punti chiave del negoziato che prevede, tra le altre cose, la riduzione delle centrifughe (macchine che arricchiscono l’uranio) da 19mila a 6 mila per un periodo di 10 anni, il trasferimento all’estero (in Russia?) delle scorte di uranio arricchito iraniano, il divieto di costruzione di nuovi impianti nucleari per 15 anni e il depotenziamento di altri come quello di Natanz, mentre l’inaccessibile centrale di Fordow, sarà convertita in un sito per la ricerca e quindi non avrà più al suo interno materiale fissile. Ma ancora più importante è il fatto che gli ispettori dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) avranno libero accesso, per i prossimi 15 anni, alle centrali per verificare il rispetto da parte dell’Iran dell’accordo.
In cambio Teheran ha ottenuto la revoca di tutte le sanzioni economiche e finanziarie imposte dall’Ue e dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ne avevano messo in ginocchio l’economia e lo sviluppo. Il Paese degli Ayatollah, un mercato di 90 milioni di consumatori, ora “può tornare ad aprirsi al mondo” che potrà contare di nuovo sul petrolio iraniano, preludio ad un ulteriore abbassamento del prezzo del greggio. Da qui al 30 giugno le parti negoziali dovranno lavorare per definire i dettagli dell’intesa raggiunta.
Ma l’importanza dell’accordo va oltre il nucleare. Al tavolo del Grand Hotel Beau Rivage si è consumato un braccio di ferro tra due Paesi, Usa e Iran, che non si parlavano da 35 anni e che a Losanna - sono parole della Mogherini - hanno passato una infinità di tempo a trattare, a parlarsi, a cercare di capirsi. Né americani, né iraniani, potevano permettersi il fallimento del negoziato. In primis Obama, la cui politica estera mediorientale è stata costellata da insuccessi, basti pensare allo stallo del processo di pace israelo-palestinese, e men che meno l’Iran del riformista Rohani che dall’intesa riprende ossigeno e vigore evitando lo spostamento dell’asse politico interno verso posizioni più rigide e conservatrici.
Le ricadute positive per l’Iran sciita potrebbero non fermarsi qui. L’aver riallacciato colloqui con il “nemico” Usa - non si parlavano dal 1979, epoca della rivoluzione khomeinista - non fa certo svanire per incanto tanti anni di demonizzazione reciproca, ma potrebbe riaprire nuove prospettive in Medio Oriente e consegnare al Paese un ruolo di attore regionale in mezzo alle tante contese e sfide (Stato islamico, Al Qaeda, conflitto in Siria, frammentazione dell’Iraq, crisi yemenita) che solcano tutta l’area mediorientale. Ruolo non gradito tuttavia da Israele, che ha subito reagito male all’accordo di Losanna definito “cattivo e pericoloso”, e dai Paesi sunniti come Egitto, Turchia e Arabia Saudita.
Se l’accordo sul nucleare renderà possibile anche una stabilizzazione di questa regione calda, come auspicato anche dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, è presto per dirlo. Ma certamente non si può sottacere che la portata dell’intesa di Losanna risiede anche nel messaggio di fiducia che lancia al mondo e a tutta la comunità internazionale. Come dire… il disgelo può essere contagioso.
DANIELE ROCCHI (SIR)
06 apr 2015 00:00