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Bruxelles
di MARIA CHIARA BIAGIONI (AGENSIR) 29 apr 2016 00:00

Eutanasia: in Belgio 2 mila casi l’anno

L'eutanasia in Belgio ha raggiunto la "quota" 2.000 casi in un anno, pari al 2% dei decessi. Tra il 2008 e il 2013, sono raddoppiate le persone che vi ricorrono. E 65 sono i casi l'anno di persone che la richiedono per depressione. Ma alla "dolce morte" arrivano anche persone con cecità incipiente, Alzheimer nella fase inziale, persone stanche di vivere, delinquenti di reati sessuali, persone sofferenti per età avanzata e per solitudine. Intervista all'oncologo dell'Università di Lovanio, Benoît Beuselinck. "L’esperienza del Belgio - dice - dimostra chiaramente la teoria del "pendio scivoloso: si avvia non appena togliamo la barriera molto chiara che afferma che il medico non può uccidere direttamente o volontariamente il suo malato"

L’eutanasia non fa che aumentare in Belgio fino a raggiungere oggi i 2 mila casi in un anno, pari al 2% dei decessi. Ma non è tutto. Il Paese ha visto un numero consistente di persone malate di depressione chiedere l’eutanasia (65 casi in un anno) e il numero delle persone che hanno beneficiato della “dolce morte” è raddoppiata tra il 2008 e il 2013. I media hanno inoltre parlato ampiamente di casi di eutanasia piuttosto sorprendenti, come l’eutanasia di persone con cecità incipiente, Alzheimer nella fase iniziale, persone stanche di vivere, delinquenti sessuali, persone sofferenti per l’età avanzata e per solitudine. “L’eutanasia si sta evolvendo fino a diventare una ‘morte come le altre’”, osserva il professor Benoît Beuselinck, oncologo dell’Università di Lovanio. L’esperienza del Belgio dimostra così chiaramente la teoria del “pendio scivoloso”. “Il pendio scivoloso”, spiega il professore, “si avvia non appena togliamo la barriera molto chiara che afferma che il medico non può uccidere direttamente o volontariamente il suo malato. Una volta rimossa questa barriera, le indicazioni diventano sempre più ampie rendendo difficile se non impossibile tracciare linee chiare per delimitare la pratica dell’eutanasia”.

Come oncologo, quale percorso avete visto fare alla pratica dell’eutanasia?

Fin dall’inizio, abbiamo detto che sarebbe stato molto difficile, se non impossibile, porre limiti chiari alla pratica dell’eutanasia. Come indicare, per esempio, in modo chiaro e inequivocabile, in una legge o in una direttiva, quali sono i termini e le circostanze esatte per cui un paziente può “beneficiare” dell’eutanasia? Abbiamo temuto fin dall’inizio che una volta aperta la porta all’eutanasia per i “casi rari ed estremi di dolore difficili da controllare in fase terminale”, sarebbe stato poi molto difficile fissare dei limiti sulla pratica.

Quali sono state le conseguenze nella vita delle persone?

Avevo in cura un uomo di 85 anni, malato di un cancro alla prostata. Questa persona era vedovo e non avevamo per lui più alcun trattamento attivo. Ha anche cominciato ad indebolirsi tanto che non poteva più vivere da solo a casa. Un’ammissione a un servizio di cure palliative ci sembrava una soluzione appropriata. Tuttavia, questa persona ha rifiutato categoricamente di essere ricoverato presso l’unità di cure palliative, perché – sono parole sue – “era cattolico e non voleva essere eutanasiato”.

Le cure palliative: perché hanno perso la loro credibilità?

I sostenitori della legge hanno fatto molti tentativi per introdurre l’eutanasia tra le cure palliative presentandola come “un’opportunità in più”. Ora, questo causa seri problemi. In una unità di cure palliative di una grande città fiamminga, il primario ha deciso di offrire l’eutanasia alle persone che lo chiedevano (a norma di legge). Sempre più persone si sono rivolte a quell’unità per essere eutanasiate. Improvvisamente il ruolo del team di “cura” si è ridotto ad accogliere candidati alla eutanasia, organizzare cerimonie per confortare la famiglia, assistere alla morte in diretta e poi preparare la stanza per il paziente successivo. Infermieri e psicologi non svolgevano più il compito che avevano scelto come loro professione e in poche settimane, l’unità di cure palliative ha perso la metà del suo personale.

Qual è la differenza tra eutanasia e sedazione palliativa?

In effetti, questa confusione ha finito per confondere molte persone, tra le quali i cattolici. La differenza tra eutanasia e sedazione palliativa è molto chiara e precisa. La sedazione palliativa è applicata (o dovrebbe applicarsi) in caso di sintomi refrattari legati alla fine della vita come il dolore, l’angoscia, l’asfissia o l’angoscia terminale. Obiettivo della sedazione è quello di alleviare questi sintomi, non uccidere direttamente. Nel caso di eutanasia diretta, invece, l’intenzione e la proporzionalità sono diverse: l’intenzione è quella di indurre la morte. Il “trattamento medico” viene usato in sovradosaggio. E’ molto importante definire cosa è la sedazione palliativa e distinguerla dall’eutanasia perché la sedazione palliativa è il nostro modo migliore per evitare l’eutanasia.

C’è una risposta al dolore ed una ragione alla morte?

Mi sta ponendo una domanda di natura spirituale e teologica alla quale non sono la persona migliore per rispondere. In fase terminale, i processi fisiologici del corpo si scombinano in modo significativo e ciò può indurre a quello che viene chiamata l’ansia terminale. Ma le chiedo: se la morte ci angoscia, l’eutanasia sarebbe una soluzione? L’esperienza clinica dimostra che non lo è. Per un paziente, la decisione di chiedere l’eutanasia e di trovare il “momento giusto” per farlo, sono spesso fonte di ulteriore preoccupazione. La richiesta di eutanasia mette anche sotto pressione le famiglie che spesso si dividono attorno al problema… Una infermiere, capo di un servizio di cure palliative, mi ha detto che nelle decine di eutanasia che ha vissuto, nessun paziente è partito in pace. Non è facile da dare “un senso alla sofferenza”.

Ma la nostra esperienza ci dimostra che per la maggior parte dei pazienti, è possibile trovare un “senso alla vita nonostante la sofferenza”. Famiglia, amici e accompagnatori possono aiutare i pazienti a percorrere questo cammino.
MARIA CHIARA BIAGIONI (AGENSIR) 29 apr 2016 00:00