Dismissione delle chiese?
Un fenomeno in espansione da gestire in un quadro di reciproche collaborazioni e con il coinvolgimento delle istituzioni e delle comunità. In arrivo alcune linee guida: è importante che non si perda la natura del sacro insita in un edificio di culto
A Praga una chiesa trasformata in night club; un’altra a Maastricht diventata birreria con il tavolo a forma di croce al posto dell’altare; nella periferia di Londra una ex chiesa presbiteriana è oggi un pub. A Venezia una chiesa, già appartenuta ad un ordine religioso, è un cocktail bar. Ma esistono anche ex chiese trasformate in palestre e centri benessere, locations per sfilate di moda oppure in moschee come a Palermo. Casi limite? Forse, ma la dismissione dei luoghi di culto e il loro riutilizzo pongono non poche sfide. Un fenomeno in continua espansione, in particolare in Europa, Usa, Canada e Oceania, trasversale alla Chiesa cattolica e a quelle protestanti. Costi di gestione e manutenzione di beni mobili e immobili in aumento, calo dei sacerdoti, fuga dei fedeli, le cause. Non esistono ad oggi statistiche perché non è stata ancora compiuta un’indagine sistematica, né le Conferenze episcopali posseggono dati, noti piuttosto alle singole diocesi. Quello che però emerge è la necessità di una programmazione a lungo termine, che coinvolga anche le comunità locali, e della ricerca di un’intesa con le autorità civili per la pianificazione delle dismissioni.
Per affrontare il tema nella sua complessità, senza trascurarne gli aspetti pastorali, in occasione dell’Anno europeo del patrimonio culturale 2018 il Pontificio Consiglio della cultura – Dipartimento per i beni culturali, la Conferenza episcopale italiana – Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto, l’Università Gregoriana – Facoltà di storia e beni culturali della Chiesa – Dipartimento dei beni culturali della Chiesa, promuovono il 29 e 30 novembre presso l’Ateneo dei gesuiti il convegno internazionale “Dio non abita più qui? Dismissione di luoghi di culto e gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici”. Il tema “coinvolge il dialogo con la società nel suo insieme” sostiene il card. Gianfranco Ravasi avvertendo che “non si può entrare in maniera indifferente in uno spazio che respira ancora le volute d’incenso e conserva l’eco dei canti delle liturgie”. Due, sostanzialmente, i criteri cui attenersi: “fare attenzione che il tempio rimanga sempre all’interno della comunità con qualche valore di simbolo spirituale, culturale, sociale” e far sì che eventuali trasformazioni “consentano di tutelarne il patrimonio interno ad esempio trasferendolo nei musei diocesani in modo da lasciare lo spazio il più nudo possibile”. I criteri attuali, spiega Ravasi, “sono troppo generici”. Per questo nel corso del convegno verranno discusse e approvate linee guida specifiche, condivise fin dalla fase preparatoria con i delegati delle Conferenze episcopali d’Europa, America settentrionale e Oceania presenti all’ appuntamento.
“Come vescovi italiani – spiega mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei e neopresidente dell’Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), il problema non è solo di natura culturale ma di natura valoriale e pastorale”. Secondo il censimento avviato dalla Cei, le chiese (di diocesi e parrocchie) ammontano a circa 65mila, ma la ricognizione non comprende quelle degli ordini religiosi. Non esistono dati certi per le chiese dismesse, precisa sua volta don Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto. “A livello italiano – dice – penso siano nell’ordine di alcune centinaia”. E per i vescovi la dismissione è certamente una scelta obbligata. “Oggi i contesti sono cambiati, alcuni territori di paesi e città sui quali sorgevano belle chiese sono disabitati; pertanto la presenza di chiese lì può non essere più giustificata”, osserva Galantino ricordando che già nel 1992 “i vescovi italiani avevano offerto indicazioni per destinare le chiese dismesse a fini culturali: biblioteche, archivi, musei – ma molte di esse attendono tuttora la propria destinazione d’uso – e nel 2004 sono stati sollecitati a valutarne l’impiego per altre attività che rientrino nelle finalità pastorali”. Per Ottavio Bucarelli, direttore del Dipartimento dei beni culturali della Chiesa della Gregoriana, “è importante che non si perda la natura del sacro insita in un edificio di culto anche quando viene dismesso e trasformato in altro. Dobbiamo rispettare e proteggere la fede di tanti credenti che in quei luoghi hanno pregato e celebrato per secoli”. Oltre alle linee guida annunciate, è stata lanciata una “Call for posters and papers”, bando destinato a ricercatori e centri accademici dal titolo “La dismissione e il riuso delle chiese: temi e prospettive di ricerca” con l’obiettivo di conoscere le ricerche in corso o appena ultimate in materia. Le migliori saranno presentate in una mostra. Tramite i social media sarà inoltre lanciato il contest fotografico “Chiese non più chiese” #nolongerchurches, finalizzato a documentare, più che i casi di abbandono, quelli di riutilizzo virtuoso. Le foto selezionate saranno presentate in una mostra e pubblicate negli atti e sulle riviste “Arte cristiana”, “Casabella” e “Chiesa oggi: architettura e comunicazione”.