Diritto al cibo: la Chiesa c'è
Da sempre la Chiesa è in prima linea per il diritto al cibo, la sicurezza e l'igiene alimentare, la salute. Un impegno che si inserisce in una storia plurisecolare all'interno della quale ha svolto anche un ruolo fondamentale di attore sociale e istituzionale
Oltre sette milioni, l’11,8% della popolazione. Sono gli italiani che non si possono permettere un pasto adeguato almeno ogni due giorni, ma la percentuale sale al 17,4% nel Mezzogiorno Lo rende noto Coldiretti analizzando i dati Istat su “Reddito e condizioni di vita” nel 2015, diffusi nei giorni scorsi. Quanto la povertà sia in aumento nel nostro Paese, dove sempre più gente fa la fila alle mense per mangiare, lo sa bene la Chiesa.
Non a caso il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, concludendo il 13 novembre 2015 i lavori del Convegno ecclesiale di Firenze aveva ricordato che le Caritas disseminate sul territorio nazionale distribuiscono circa 6 milioni di pasti l’anno. Una povertà che stride con gli sprechi, ancora troppi all’indomani della legge in materia approvata lo scorso agosto.
Secondo Coldiretti, nel 2015 ogni italiano ha gettato nella spazzatura ben 76 chili di cibo, ai quali si aggiungono gli sprechi legati all’intera filiera (agricoltura, trasformazione, distribuzione commerciale, consumo, ristorazione) per un valore complessivo di 12,5 miliardi. Allargando lo sguardo all’intero pianeta, risuona l’eco del severo monito di Papa Francesco all’udienza generale del 5 giugno 2013, Giornata mondiale dell’ambiente:
“Il cibo che si butta via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero”,
ripreso dal Pontefice al n. 50 della Laudato si' e corredato con la constatazione che “si spreca approssimativamente un terzo degli alimenti che si producono”.
Un’attenzione, quella del Papa, che dice dell’impegno della Chiesa per il diritto al cibo (più di 800 milioni le persone attualmente sottoalimentate nel mondo), e non da oggi.
La Chiesa ha infatti lavorato da sempre per la sicurezza alimentare. Il suo impegno si inserisce in una storia plurisecolare nella quale ha svolto anche un ruolo fondamentale di attore sociale e istituzionale.
Fin dalla nascita si è occupata dei poveri con l’istituzione del diaconato, la fondazione degli “ospitali” e l’accoglienza di interi villaggi nelle grandi abbazie della famiglia benedettina durante carestie e guerre; un aspetto forse meno noto è quello relativo alle ricadute delle sue prescrizioni in materia di cibo sulla tutela della salute, dell’igiene e della sicurezza alimentare.
Pur non prevedendo, come l’ebraismo o l’islam, restrizioni o tabù verso particolari cibi o bevande, il cristianesimo richiede oggi l’astinenza dalle carni tutti i venerdì di Quaresima, e il digiuno il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo. In passato però queste pratiche penitenziali erano più severe, con impatti positivi anche sulla salute individuale e collettiva, sull’ordinamento sociale e sull’ambiente.
A ripercorrerne la parabola è Carmela Ventrella, docente di diritto ecclesiastico e canonico all’Università di Bari e coautrice con il collega Gaetano Dammacco del volume “Cibo e ambiente. Manipolazioni e tutele nel diritto canonico” (ed. Cacucci – Bari). Secondo la studiosa,
“nel collegamento tra obblighi della coscienza e bisogni materiali, i canoni diventarono ‘regolatori’ della convivenza civile”.
In particolare, i Libri penitenziali, vademecum per i confessori con cataloghi delle colpe e relative sanzioni apparsi a partire dal VI secolo, contemplavano tra le diverse fattispecie anche contaminazioni e sofisticazioni alimentari come l’alterazione di cibo o la preparazione e ingestione di sostanze “inquinate” con vermi, pidocchi, urina, escrementi, secondo rituali legati a forze occulte. In questo modo,
sanzionando le “condotte eversive”, i “penitenziali” si pongono come “i primi, rudimentali interventi ‘giudiziari’” in materia, “positivizzano i canoni sacri” ed esprimono “un interesse pro sanitate” in favore dell’intera collettività.
I digiuni e l’astinenza dalle carni prescritti nei tempi liturgici forti costituiscono vie “fisiche” di libertà e di accesso a Dio, ma già i Padri della Chiesa richiamano il valore della “moderata refectio” come strumento di contenimento dei vizi e per la salute del corpo, e Paolo Zacchia, uno dei “padri” della medicina legale, alla fine del Cinquecento assicura che “vivere secondo le leggi del digiuno non offende la sanità del corpo”.
Attraverso le sue prescrizioni alimentari, la Chiesa ha inoltre contribuito a risolvere gravi piaghe sociali.
Un esempio per tutti le “Bolle di crociata” con le quali i pontefici, in ricordo dei benefici accordati ai cristiani partiti alla riconquista dei luoghi sacri, concedevano su sollecitazione dei sovrani, dietro corrispettivo e limitatamente ad alcune aree geografiche, il consumo di cibi allora proibiti in quaresima come uova, latte e derivati, impiegando successivamente il ricavato in opere di pubblica utilità.
Oppure, come nel caso della Bolla emanata nel 1777 da Pio VI – interessante esempio di cooperazione Chiesa-Stato – per contribuire al riscatto dei cristiani catturati e ridotti in schiavitù dai musulmani e per difendere le coste del regno di Napoli dalla pirateria. Anche dopo il superamento degli scopi originari, il decreto venne applicato nell’Italia meridionale fino al 1906, anno della riforma normativa attuata dalla Chiesa in materia di digiuno e indulgenze.
“Liberare l’umanità dalla fame”: questo l’imperativo di Papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale dell’alimentazione del 16 ottobre 2015 in nome del principio della giustizia distributiva, oggi ampiamente disatteso ma riproposto dal Pontefice nell’orizzonte della “conversione ecologica”, pilastro della Laudato si’.
Azione culturale, sensibilizzazione e formazione; erogazione di credito, realizzazione di infrastrutture, sostegno alla produzione di cibo e allo sviluppo di microimprese, distribuzione gratuita di pasti. Si sviluppa così l’odierno impegno della Chiesa attraverso l’azione di conferenze episcopali, congregazioni religiose, missioni, fondazioni, diocesi, parrocchie, Caritas affinché i meno privilegiati non siano costretti a raccogliere solo le briciole. Ammesso che ne rimangano.