Caso “Rouhani”: un “decalogo” per dialogare con l’Islam
Il caso "Rouhani" in Italia e il dialogo "possibile". Stefano Allievi e Paolo Branca stilano un "decalogo" di regole per dialogare con l'Islam: dall'importanza dell'ospitalità, al limite del "buon senso" a quel pizzico di creatività e fantasia per risolvere i problemi. Mai però "rimanere nella formalità dei sorrisi e della buona educazione". Il vero dialogo richiede sempre "un atto profondo di comunicazione e condivisione”
“La parola ospitalità ha un valore enorme soprattutto nel mondo islamico”. Stefano Allievi è stato forse uno dei primi studiosi italiani ad occuparsi di Islam ed oggi è direttore del Master sull’Islam in Europa dell’Università di Padova. “L’ospitalità fonda gran parte del dialogo cristiano-islamico. E per l’ospitalità ci si può anche adeguare ad alcune cose”. La prima tra tutte è quella di “rinunciare ad un certo imperialismo culturale che ci rende convinti che la nostra civiltà sia la migliore”.
“Il limite è nel buon senso”. Rinunciare al latente sentimento di superiorità culturale non significa assolutamente essere arrendevoli alla cultura dell’altro. “La cosa che è successa a Roma – precisa il professor Allievi – è stato un errore gigantesco. Bastava cambiare sala. Era molto più semplice, invece di cancellare qualche cosa di tuo”.
Essere quindi creativi e risolvere il problema con un pizzico di fantasia. “Dipende sempre dal contesto – spiega Allievi – e per farlo occorre mettersi nella prospettiva dell’interlocutore musulmano. Ho intervistato donne convertite all’islam e musulmane di origine che decidono di non stringere la mano all’uomo. Scelta loro, problema loro. Certo è che di fronte al maschio che teneramente porge la mano come un gesto di accoglienza, alle volte decidono di rispondere, alle volte la tengono dietro alla schiena, spiegando perché. Ma questo discorso non riguarda solo l’Islam. Anche con giapponesi e indiani ci si adegua a fare l’inchino”.
La regola dell’ospitalità e del buon senso richiedono “una conoscenza dell’altro a cui bisogna aggiungere assolutamente conoscenza di se stessi”. Basta con “superficialità” e “infantilismo collettivo”. “L’esistenza dell’altro pone certamente degli interrogativi ma è un’occasione per riflettere e anche per imparare che le regole della convivenza civile sono artificiali e senza fondamento reale”.
L’ospitalità ha regole soggettive. “Non è che un decalogo può diventare un bon ton valido per tutti”, osserva Allievi. “Il contesto è molto importante e la persona che hai davanti fa la differenza”.
“Trasmettere all’altro il senso di poter stare con me a proprio agio”. “Ma questa regola – spiega Paolo Branca, docente di Lingua e Letteratura Araba e di Islamistica presso l’Università Cattolica di Milano – è valida in tutte le relazioni umane. Nella relazione è molto importante dire all’altro: ‘ti rispetto e ti considero al mio stesso livello’, soprattutto quando si hanno sensibilità diversità. Una relazione si stabilisce sempre tra pari, evitando ogni deriva di superiorità”.
“La Regola d’oro: fare agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te”. Il professore fa riferimento all’episodio evangelico del centurione che si mette nei panni di Gesù e non lo vuole mettere in difficoltà. “Questa delicatezza è un po’ un modello da seguire. Il che non significa fare abiure ma mettersi nei panni degli altri. Nel caso di Rouhani, bastava far fare un altro percorso e non ci sarebbe stato alcuno problema a noi e a lui”.
Essere se stessi, essere sinceri. “Se c’è occasione di parlare di certi argomenti, bisogna dire ciò che si pensa. Dirlo pacatamente, ma non rinunciare al proprio parere, non dire: ‘sì hai ragione’ solo per evitare le discussioni”.
No al dialogo “dei sorrisi formali”. “Se ho posto le basi di rispetto reciproco, stima, considerazione e fiducia – conclude Branca – allora potrò anche fare il passo successivo che è quello di essere sincero e di dire tutto. Se invece parto manifestando tutta la mia diversità, allora il rapporto è destinato a rimanere nella formalità dei sorrisi e della buona educazione ma non si compie quell’atto profondo di comunicazione e condivisione che invece richiede il vero dialogo”.
MARIA CHIARA BIAGIONI (AGENSIR)
29 gen 2016 00:00