Carovana dei migranti a Tijuana
Stanno arrivando alla frontiera tra Messico e Stati Uniti le prime centinaia di migranti da Honduras, Salvador e Guatemala che fanno parte della Carovana dei migranti: tra le 10mila e le 17mila persone che percorrono a piedi o su camion migliaia di km per fuggire alla violenza e alla povertà. Da Tijuana il racconto dei responsabili della Casa del migrante gestita dagli Scalabriniani
Stanno arrivando in questi giorni a Tijuana, la città messicana al confine con il Texas, le prime centinaia di persone della Carovana dei migranti. Stanno percorrendo migliaia di chilometri a piedi per chiedere asilo negli Stati Uniti. Sono partiti un mese fa da San Pedro Sula in Honduras, in una data simbolica: 12 ottobre. Sono tra le 10.000 e le 17.000 persone, in quattro gruppi sparsi tra Città del Messico e gli Stati interni di Oaxaca e Veracruz. Vengono da Honduras, Guatemala, El Salvador, tra cui migliaia già espulsi dagli Stati Uniti, tutti in fuga da povertà e violenza nei loro Paesi.
“Il 65% sono donne e bambini”, raccontano al Sir José Carlos Yee Quintero, coordinatore dei programmi della Casa del migrante a Tijuana, diretta dallo scalabriniano padre Patrick Murphy. A Tijuana ci sono già 2.500 migranti che stanno aspettando una risposta alla domanda d’asilo. Molti rischiano di diventare vittime dei feroci cartelli del crimine organizzato che controllano le frontiere. A questi si aggiungeranno quelli della Carovana, che continueranno ad arrivare nei prossimi giorni e settimane. La Casa del migrante, che fa parte di una rete di 30 centri di assistenza ai migranti alla frontiera nord del Messico, si sta attrezzando in queste ore per potenziare l’accoglienza e i servizi, “nei limiti nelle nostre possibilità”: “Abbiamo 150 letti a disposizione dove ospitiamo ogni giorno migranti e messicani rimpatriati dagli Stati Uniti. Ma ogni giorno 130 letti sono occupati”.
Di fronte all’esodo impressionante di donne, bambini e uomini che camminano 10 ore al giorno, o che a tratti riescono a salire su camion per percorrere le distanze maggiori, gli Stati Uniti rispondono schierando 7.000 uomini alla frontiera e rafforzando filo spinato, barriere e transenne. Dal 10 novembre scorso il presidente Donald Trump ha perfino annunciato il blocco del diritto d’asilo per 90 giorni.
La Casa del migrante di Tijuana aiuta circa 8.000 migranti l’anno, con un modello di reinserimento sociale che sviluppa abilità e lavora sui conflitti emotivi dei migranti.
“Riusciremo a dare alloggio e servizi solo ad una parte dei migranti della Carovana, nonostante il nostro centro sia il più grande di tutta la regione”.
Saranno assistiti come tutti gli altri migranti. Una schiera di operatori sociali, psicologi, avvocati, medici fornirà gratuitamente pasti, cure mediche, indumenti, un letto per dormire. Ma soprattutto corsi e formazione, perché dovranno trascorrere almeno tre mesi in città, visto che gli uffici frontalieri statunitensi sono saturi di pratiche. Ogni anno arrivano flussi di centinaia di migliaia di persone ma gli Stati Uniti accettano numeri ridotti. Molti dei richiedenti asilo vengono rinchiusi nei centri, i nuclei familiari separati, i minori trattenuti in spazi appositi. Migliaia vengono rimandati indietro. “Il nostro progetto educativo – spiega Yee Quintero – vuole fornire competenze e motivarli in attesa dell’esito della domanda d’asilo: corsi di inglese, di alfabetizzazione digitale, di pasticceria, gruppi di auto-aiuto guidati da un seminarista, catechesi. L’obiettivo è promuovere solidi piani di vita, realisti e pieni di speranza, in modo che i migranti della carovana prendano le decisioni migliori per il benessere della loro famiglia a medio e lungo termine”.
A piedi e sui camion per evitare “La bestia”, il treno della morte.L’esodo a piedi dei migranti centroamericani ha procurato ferite e vesciche ai piedi, disidratazione, mal di gola e mal di stomaco e stanchezza profonda. I più vulnerabili sono ovviamente i bambini, che mostrano segni di angoscia e disagio psicosociale. Per fortuna la maggior parte dei migranti ha viaggiato sui camion e non è salita sul famigerato treno che collega sud e nord del Messico chiamato “La bestia”.
“Su questa rotta da decenni i migranti sono vittime di violenza, estorsioni, sequestro, abusi, stupri, mutilazioni”.
“Nonostante questi pericoli continuano a fuggire dai loro Paesi per gravi situazioni in cui si trovano a vivere. Non solo uomini ma anche donne sole, bambini e bambine. Mettono sul piatto della bilancia la vita attuale e i rischi che corrono e alla fine decidono di salire sulla ‘bestia’”.