Gori: Lombardia? Si può fare meglio
Si conclude con quella al Sindaco di Bergamo, in corsa per il centrosinistra, la serie delle interviste ai principali candidati in corsa per la Presidenza della Regione, realizzata da "Voce" e dagli altri settimanali delle diocesi lombarde
Giorgio Gori, 57 anni di Bergamo, sposato con Cristina Parodi, padre di tre figli, è il candidato del centrosinistra per le Regionali del 4 marzo. Nel 2014 è stato eletto sindaco di Bergamo. La sua candidatura alla presidenza della Lombardia è sostenuta da Pd, Lista Gori, Civica Popolare, +Europa, Lombardia Progressista, Insieme e Obiettivo Lombardia.
L’avvio della presa in carico di pazienti con patologie croniche, prevista dalla nuova legge regionale sulla sanità, si sta scontrando, anche a Brescia, con il problema pensionamento di tanti medici di medicina generale (fra gli attori più importanti della delicata fase). Come pensate di intervenire al proposito?
La riforma di Maroni aveva negli intenti un principio giusto: riportare la cura delle persone sul territorio, vicino ai cittadini, e lasciare agli ospedali le cure più complesse. È successo il contrario, come dimostra l’ultima delibera sulla cura dei malati cronici, che marginalizza i medici di famiglia e riconduce questi pazienti ancora agli ospedali. Per noi le cure più semplici devono essere fatte in case della salute, poliambulatori, strutture intermedie diffuse sul territorio.
Bisogna sviluppare sul territorio una rete capillare di ambulatori, vicini ai pazienti, aperti 7 giorni su 7 per almeno 12 ore al giorno. Tutta questa rete va creata.
Non sono più accettabili i pronto soccorso che scoppiano, soprattutto nei fine settimana, e le lunghe liste d’attesa a cui sono costretti i cittadini. Quanto ai medici di base, non può rimanere inascoltato l’allarme lanciato anche dalle associazioni sindacali: nei prossimi cinque anni dovremo far fronte al pensionamento di circa il 30% dei medici di famiglia. È incredibile che la Regione non abbia pianificato per tempo una soluzione. Io credo che si debbano incrementare da subito le “borse regionali” per i corsi di formazione, in aggiunta a quelle nazionali, equiparandone il valore economico a quello della formazione universitaria
Il tema dell’immigrazione è di quelli che dividono. In che modo intendete affrontare la questione?
Purtroppo c’è chi ancora nel 2018 parla di razza bianca e pretende, poche ore dopo, di derubricare a semplice lapsus. E’ pericoloso, oltre che ingiusto, dare seguito agli allarmismi e a facili demagogie, ma è anche doveroso ascoltare chi prova disagio o si sente minacciato dalla nuove presenze. Noi crediamo che l’immigrazione vada governata con intelligenza, iniziando ad accogliere e distribuire meglio gli immigrati sul territorio, incentivando l’adesione dei Comuni ai protocolli di accoglienza e allo Sprar. La Regione non ha mosso un dito per favorire una distribuzione più equilibrata.
Credo che non basti accogliere, ma ci si debba preoccupare di rendere “utile” il tempo dei richiedenti asilo, per loro e per le comunità che li ospitano. Non ha senso che trascorrano mesi e mesi nell’ozio.
Vorrei invece che trascorressero almeno 20 ore la settimana sui banchi di scuola ad imparare l’Italiano e l’educazione civica e 20 ore in laboratorio, ad apprendere un mestiere, o a svolgere lavori socialmente utili. Bisogna cioè costruire percorsi di integrazione nella legalità. Occorre anche potenziare i rimpatri volontari assistiti, mentre chi delinque va rimpatriato, anche coattivamente. Credo che il Governo debba seriamente porsi l’obiettivo di rivedere i meccanismi di accesso nel nostro Paese – ripristinando canali legali oggi preclusi – e di prosciugare l’ampia area di illegalità legata alla condizione dei cosiddetti diniegati. Non c’è un’unica soluzione, ma un maggior numero di rimpatri volontari assistiti, insieme a permessi di soggiorno temporanei per chi sta svolgendo un lavoro, possono produrre buoni risultati.
Quali sono i vostri programmi (e le relative risorse) per sostenere il mondo lombardo della produzione fatto di piccole e piccolissime imprese, per sostenere e magari incrementare i dati occupazionali, per dare concrete speranza di futuro professionale ai giovani e per accorciare la distanza tra il mondo della scuola e quello dell’impresa?
Ho particolarmente a cuore le difficoltà di molti giovani ad inserirsi nel mondo del lavoro e so bene, anche per aver parlato con molti di loro in questi mesi di campagna elettorale, che tanti piccoli e medi imprenditori lombardi non riescono ad agganciare la ripresa. Per questo credo che il rilancio dell’occupazione debba necessariamente accompagnarsi al sostegno dei processi di innovazione, in particolar modo per le realtà più fragili, cioè le piccole e medie imprese.
Per questo, ad esempio, penso di azzerare l’Irap per 3 anni per le start up e di azzerare gli oneri contributivi per 3 anni per le imprese che assumono giovani nei settori dell’innovazione.
Al tempo stesso, se è vero che ci sono molti giovani che non trovano lavoro, molti imprenditori invece non trovano professionalità specifiche, come ad esempio quella del tornitore. È necessario far dialogare tra loro la domanda e l’offerta nel territorio lombardo, dando vita ad una regia che coordini le diverse istanze. Bisogna potenziare l’istruzione e la formazione professionale, competenza regionale, legandola ai bisogni delle imprese sul territorio. Penso anche che si debba promuovere l’apprendistato, che è un vero contratto di lavoro, dicendo stop ai lavori mal pagati mascherati da tirocini, che mortificano i nostri giovani. Il mio progetto per la Lombardia ha l’obiettivo ambizioso, per i prossimi cinque anni, di arrivare a livelli di occupazione “tedeschi”. Piena occupazione, quindi, ma anche “buona occupazione”, il più possibile stabile e ben pagata. Per arrivarci dobbiamo diventare un territorio più competitivo sulla fascia alta del mercato, quello del valore aggiunto. La Regione non lo può fare da sola, ma deve svolgere un fondamentale ruolo di indirizzo e di regia di tutte le forze vive della comunità lombarda: imprese, sindacati, cooperazione, territori, mondo della formazione e terzo settore in testa. L’atto fondativo della legislatura dev’essere quindi un grande “Patto per il lavoro”, che consolidi insieme a queste rappresentanze una comune visione sul futuro, e consenta di scegliere insieme gli strumenti per costruirlo. Il primo atto sarà questo.
Con la tradizionale vocazione industriale scossa dalla lunga stagione di difficoltà economica, i territori hanno scoperto che la cultura e la valorizzazione dei patrimoni locali, possono essere una valida alternativa a certezze di un passato ormai archiviato. La Regione, in questo campo, non ha mancato sinora di far sentire la sua presenza, anche se la strada da percorrere è ancora lunga Quali i vostri progetti e le vostre risposte al proposito?
La mentalità delle persone sta cambiando, c’è un’attenzione crescente sia nei confronti dei temi ambientali che di quelli artistici e culturali. Brescia non vuole più essere conosciuta solo come la città del tondino. L’Oltrepò, che produce il 66% del vino lombardo, è alla ricerca di un’identità e di un brand capaci di valorizzare prodotti vitivinicoli che non hanno nulla da invidiare a quelli, ad esempio, della Franciacorta. La Lombardia, a partire dalle realtà minori, ha risorse artistiche e culturali straordinarie, ancora sono in attesa della giusta valorizzazione, e che sino ad ora non hanno ricevuto il giusto sostegno dalle politiche regionali.
La scarsità dei fondi stanziati per la cultura non ha mai permesso una programmazione a lungo termine delle attività e la legge di riordino in materia del 2016 non ha avuto l’ampiezza che ci si aspettava. In generale, i fondi stanziati si sono di anno in anno ridotti e con essi si sono sempre più ristrette le prospettive della giunta sul tema culturale. Le risorse predisposte, del resto, sono sempre state erogate a pioggia, con una attenzione particolare ad associazioni locali ed enti religiosi, senza uno sguardo di sistema.
La cultura, al contrario, è volano della nostra economia e strumento di coesione sociale, di rigenerazione urbana, di riqualificazione degli spazi pubblici. La cultura è la materia prima di cui si alimentano il senso di cittadinanza, la consapevolezza dei diritti e dei doveri della convivenza. Per questo motivo intendiamo valorizzare, in connessione con gli enti locali interessati, il ruolo delle industrie creative, le esperienze di innovazione culturale, dei laboratori urbani, delle reti di biblioteche e teatri.
Partendo da elementi concreti, dall’agevolazione al credito, alla semplificazione amministrativa, all’armonizzazione della legislazione di settore. Bisogna mappare e mettere in rete queste esperienze, supportarle attivamente nell’intercettare opportunità derivanti da finanziamenti europei ed invitarle a reinterpretare in chiave attuale la dimensione localistica. Vorrei anche portare ad esempio quanto ho materialmente fatto sino ad ora in qualità di sindaco di Bergamo.
Il pil del settore culturale per abitante generato nel Comune di Bergamo è il doppio rispetto alla media nazionale, pari a 483euro per abitante contro i 254 della media italiana. E’ un dato superiore anche alla media lombarda. E’ dimostrato, inoltre, che la spesa in cultura ha generato valore rimasto sul territorio in misura maggiore rispetto ad altre categorie di spesa. Alla luce degli risultati raggiunti, sono pronto a rimboccarmi le maniche anche per la Lombardia.
Qual è la vostra posizione sul “costo standard” per ogni studente di scuole statali e paritarie (misura che consentirebbe tra l’altro un notevole risparmio allo Stato) e cosa ne pensate anche della “dote scuola”?
Ci tengo molto a precisare qual è la mia idea sul sistema della dote scuola. Non serve premettere che ho piena consapevolezza del valore dell'offerta formativa delle scuole paritarie e ho ribadito — anche scrivendolo espressamente — che è necessario mantenere il sistema della dote scuola per garantire veramente la libertà di scelta alle famiglie lombarde. E questo concetto l'ho voluto sottolineare proprio nel mio programma di governo anche dopo le sollecitazioni ed il confronto, dall'esito non scontato, con una parte della coalizione che mi sostiene. Entro anche nel dettaglio della proposta perché, come vedrà, corrisponde anche alle esigenze che mi sono state segnalate da più parti affinché questa misura abbia ancora efficacia. Dobbiamo partire dalla situazione attuale: a differenza del passato lo stanziamento per il "Buono Scuola" è stato via via ridotto nei cinque anni di governo leghista, passando dai 56 milioni di euro degli anni di Formigoni ai 20 milioni a disposizione nell'ultimo bilancio regionale. Questa realtà mi ha fatto ritenere necessaria una modifica rispetto agli attuali limiti reddituali senza però ridurre lo stanziamento annuo, anzi con la speranza di poterlo negli anni anche aumentare.
Quindi di mantenere intatto il principio della libertà di scelta, ma ponendo come priorità il sostegno alle famiglie che hanno una situazione economica più fragile e che comunque con determinazione vogliono affrontare la spesa di una scuola paritaria per i propri figli. La mia proposta è di erogare il beneficio alle famiglie con un indicatore Isee fino ai 30mila euro annui, incrementando contestualmente per le fasce di reddito più fragili il contributo così da coprire praticamente per intero la retta di frequenza.
Inoltre ho pensato di raddoppiare le risorse per la componente "Acquisto libri di testo", beneficio che va indifferentemente ai ragazzi che frequentano le scuole pubbliche e quelle paritarie, estendendo la platea dei beneficiari anche ai ragazzi e alle ragazze che frequentano il triennio di scuola superiore e incrementando il valore del buono annuale a copertura della spesa dei libri scolastici. Penso poi sia utile attuare gradualmente questa revisione, così da non andare a penalizzare le famiglie che hanno fatto già negli scorsi anni la scelta della scuola paritaria sapendo di poter contare sul contributo regionale. Spero di avere rassicurato molte famiglie sulle mie intenzioni e ringrazio per tutti i consigli che vorranno arrivarmi in merito, che sono e rimarranno sempre la cosa più utile per chi vuole governare una regione come la nostra.
Il Bresciano è nota per essere la terra delle cave (e della loro trasformazione in discariche). Ci sono porzioni del territorio che più di altre stanno pagando un prezzo importante a politiche estrattive su cui anche la Regione ha competenze e responsabilità. Ci sono nei vostri programmi azioni e progetti per la salvaguardia e il recupero di queste aree compromesse?
Credo che l’indice di pressione, che pure Fontana in un recente confronto con alcuni industriali bresciani ha affermato essere uno strumento anche modificabile, sia adeguato per tutelare quei territori segnati da una grande concentrazione di impianti per le gestione dei rifiuti, di industrie a forte impatto ambientale e di cave.
Sul tema delle cave credo, poi, importante procedere a una revisione della classificazione dei materiali di scarto ai fini di una loro collocazione. Mi domando perché, per esempio, in Veneto e in Germania gli scarti delle fonderie possano essere usati nella costruzione dei sedimi stradali e in Lombardia debbano essere destinati in discarica. È un tema su cui riflettere.
Se i lombardi ci consentiranno di guidare la Regione, sarà nostro impegno prioritario quello di sostenere le amministrazioni, come Brescia, impegnate in operazioni di bonifiche di interesse nazionale, regionale o locale.
Con questa intervista si concludono gli incontri realizzati da "La Voce del Popolo" e dagli altri settimanali delle diocesi lombarde con i principali candidati alla presidenza della Regione, Attilio Fontana (centrodestra) e Dario Violi (Movimento 5 Stelle).