Caritas lombarde e profughi: proposte
In un documento condiviso sono messe in evidenza le posizioni e le proposte unanimi prese recentemente dai direttori delle Caritas lombarde alla luce di quanto fanno in tema di richiedenti asilo e di profughi.
Non occorrono le proteste come quelle che nel Ferrarese hanno impedito l’arrivo di dodici donne (di cui una in attesa di un figlio) in un ostello, per dire che il sistema dell’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale messo in pedi dall’Italia, senza impegni seri da parte dell’Unione europea, scricchiola, fa fatica, con una sperequazione tra le risorse destinate al soccorso e alla prima accoglienza e quella per la gestione di queste presenze sul territorio. Lo ha affermato anche il premier Renzi in un’intervista televisiva nel corso della quale ha affermato che senza impegni chiari e precisi da parte dell’Europa, il sistema messo in piedi del Paese ha davanti solo pochi mesi di tenuta. Quelle indicate dal Presidente del consiglio sono criticità su cui si interroga con sempre maggiore frequenza non solo quella parte del Paese fisiologicamente o politicamente contraria all’accoglienza, ma anche quella che di fronte a questi arrivi sempre più numerosi non ha voltato la testa da un’altra parte. Lo stanno facendo, anche nel Bresciano, Comuni e cooperative che cercano di gestire al meglio sui territori questi arrivi, mettendo a punto progetti e proposte (se ne parla in altra parte del giornale, ndr).
Anche le Caritas di Lombardia, che nei giorni scorsi si sono incontrare per un momento di confronto e hanno affidato la loro voce a un documento condiviso in cui trovano spazio esperienze e proposte (il documento integrale è disponibile su www.caritascomo.it). “Le Chiese e le Caritas lombarde – si legge nel documento – sono impegnate nell’accoglienza dei migranti e richiedenti-asilo sia in convenzione con le Prefetture su finanziamento del ministero dell’Interno, che fuori convenzione, con spese totalmente a proprio carico (ad esempio per le persone uscite dai Centri di accoglienza straordinari, arrivate nei Centri di ascolto delle povertà, nelle mense, per le docce, nei dormitori o in altri Centri di accoglienza non convenzionati).
Quelli elencati sono servizi che, in una logica sussidiaria, le Caritas di Lombardia hanno messo in campo per aiutare lo Stato e le Istituzioni, in difficoltà nel dare una risposta ai bisogni. Con i contributi pubblici ricevuti sono state in grado di dare vita a un sistema di ospitalità diffusa, a piccoli gruppi, in Parrocchie e in ambienti di proprietà ecclesiastiche, d’intesa e in collaborazione con il volontariato e le comunità locali. È proprio in virtù di quanto fatto nel corso degli anni che le Caritas di Lombardia, nel già citato documenti, pongono allo Stato una domanda fondamentale: a quale destino sono consegnati i migranti salvati dal naufragio nel Mediterraneo? Come si legge nel documento sottoscritto dai direttori delle Caritas si sta manifestando una grave incongruenza tra il tempo, le energie e le risorse impiegate nel soccorso in mare e il risultato conseguito. “Bisogna quindi pensare e mettere in pratica nuove soluzioni – si legge ancora nel documento –, che non si costruiscono evidentemente con i muri, né, com’è stato ipotizzato, con l’affondamento delle imbarcazioni nei porti di partenza, con le espulsioni, e, tantomeno, con la propagazione dell’odio e del conflitto pseudo-religioso. Certo, costa molto anche accogliere”. È proprio in nome di questi corsi che le Caritas di Lombardia lanciano anche una serie di proposte per non vanificare gli sforzi profusi con l’alto numero di respingimenti delle richieste di protezione internazionale e il conseguente ingresso di molti immigrati nelle file della clandestinità.
E dopo avere invitato la Regione Lombardia alla massima collaborazione per la ricerca del bene della comunità, le Caritas si sono rivolte allo Stato, contestando ancora una volta la distinzione tra rifugiati e non rifugiati che oggi non regge più, e chiedendo, accanto al permesso di soggiorno per ragioni politiche (con tempi più veloci di quelli attuali), l’introduzione , di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie “a tempo prestabilito”, (magari di un anno) con spiccate finalità di studio-formazione e di ricerca lavoro, incentivando Enti di terzo settore e privati (anche famiglie) ad offrire la garanzia transitoria dell’alloggio. Le Caritas chiedono anche una riforma del sistema degli Sprar per rendere più efficiente l’accoglienza operata per questa via. Si tratta di proposte che a Brescia, anche dalle pagine di questo giornale, aveva da tempo avanzato.