Simboli e dissidi della modernità
Mercoledì 12 ottobre alle 18 dai Saveriani con l’autore, Elio Franzini, dialogano Vincenzo Costa (Università San Raffaele) e Sara Bignotti
“La filosofia aspira all’eternità”, ha come fine “la verità”: è questo l’incipit del libro di Elio Franzini “Filosofia per il presente. Simboli e dissidi della modernità” (Morcelliana 2022, pp. 192). Della filosofia mutano nel tempo le forme, i modi, le circostanze, e questo fa sì che essa, declinandosi al plurale, perda la propria specificità adeguandosi alla contingenza e alle mode quando non disperdendosi nella molteplicità delle discipline e dei punti di vista. La filosofia infatti, osserva l’autore, che è rettore dell’Università degli Studi di Milano e professore ordinario di Estetica, “vive tra le contaminazioni e, per adeguarsi alla contingenza e alle mode, rischia di perdere la propria identità e, forse, il suo stesso scopo”. Perdere le proprie origini è una possibile strada, ma da evitare.
Vi è una strada opposta, cui molti indulgono, ossia costruire grandi teorie, ignari di ripetere idee altrui. Ma questa strada, osserva l’autore, “è troppo legata alla capacità individuale del filosofo per essere, in un mondo dove la molteplicità degli stili trionfa, davvero un’ancora di salvezza”. Il rischio è di scimmiottare costruzioni che neppure si sono studiate. Già Husserl, Heidegger, Bergson – per non citare che alcuni dei filosofi del Novecento – hanno messo in crisi un certo modo di elaborare il pensiero filosofico.
E quindi quale filosofia per il presente? Un pensiero che non ceda alla contingenza, all’attualità, che non dimentichi le proprie tradizioni, che sia consapevole della funzione critica del pensiero stesso. L’autore cita al proposito un saggio di Jean-François Lyotard del 1983, dal significativo titolo “Il dissidio”, inteso come “conflitto fra almeno due parti, impossibile da dirimere equamente in mancanza di una regola di giudizio applicabile a entrambe le argomentazioni”. È difficile non scorgere nella filosofia presente una situazione di conflitto, che in effetti segna quella dimensione di crisi che vieta sia la dispersione sia la sistematizzazione.
L’autore – in dialogo con Husserl, Heidegger, Valery, Merleau-Ponty ed altri– si interroga su questa identità perduta e la ritrova nella funzione critica che la filosofia può avere come “punto di vista essenziale”, “fenomenologico”: capace di “conoscere le cose sapendo che non le scopre, non le inventa o le struttura”, ma connette “il suo esperire al senso di ciò che appare”. In modo particolare Franzini si rifà alle riflessioni che Husserl fece in volumi che hanno segnato la storia del pensiero del Novecento, come “I problemi fondamentali della fenomenologia” e “La filosofia come scienza rigorosa”, senza dimenticare la sua ultima pubblicazione di Husserl, “La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale”.
A partire da queste premesse, il libro si sviluppa in 21 brevi capitoli, densi di riferimenti e molto stimolanti. Per citarne solo alcuni: “Inizia il sogno”, “La filosofia come scienza rigorosa”, “Il sogno è finito”, “Il destino della filosofia”, “Il demone moderno”, “Moda e vita metropolitana”, “Un percorso simbolico”, “Giustizia e Terrore”.
L’autore esplora i nodi simbolici attraverso i quali la filosofia permette ancora di orientarci nel nostro spazio e nel nostro tempo senza sfaldarsi in una nebulosa sempre più votata all’enfasi o all’occultamento della verità. Non una filosofia quindi “del” presente, bensì una filosofia “per” il presente, dove l’estetica, come disciplina che coltiva il gusto dell’evidenza e il senso dell’ambiguità, può avere un ruolo chiave.
Nella Postilla conclusiva, Franzini osserva che l’alternativa per il presente è radicale: una dispersione postmoderna del tutto rinchiusa nei propri giochi linguistici, oppure “la costruzione di un pensiero creativo, che accetti il risveglio, e colga in esso il potere simbolico dello sguardo, la sua capacità di scavare nel senso del mondo e delle cose, la forza di un’interrogazione, una dignità che non cede”.