Lo stupore di perdersi nel vento
Ci sono echi evidenti di Pavese, evidentissimi ma originali, di una terra lontana e mai abbandonata. Ma c’è anche la conoscenza esotica di luoghi che solo così avrebbe potuto tratteggiare una Sibilla Aleramo. Stiamo parlando di “Perdersi nel vento” (ed. Noi qui), opera prima della siciliana Tania David, da anni trapiantata in Franciacorta, nella sua Gussago.
C’è lo stupore di fronte al reale di Alda Merini, uno struggimento che, se da un lato lascia il passo alla malinconia, dall’altro trova slanci di sorpresa fanciullesca che rimandano a Sylvia Plath. C’è un attaccamento evidente a un territorio estraneo divenuto amico, forse avvantaggiato da un amore autoctono. Ma il profumo della zagara, in contrasto con l’odore acre delle bruciature delle stoppie non viene mai meno, così come il riverbero delle onde sollevate dal vento.
E’ un’anima libera, quella dell’autrice. Il suo procedere, a differenza del “Battello ebbro” di rimbaundiana memoria, ha trovato un approdo, un porto sicuro ancorato alle sue radici. L’autrice è altresì capace, ancora, di “Perdersi nel vento”, “il titolo più adatto a una silloge – sottolinea Francesca Patitucci – che spazia negli elementi della natura, a tutto tondo, percependo ogni piccola sfumatura, a decantare l’anima di chi la racconta”.
Niente di più bello
che perdersi nel vento
di un cielo etereo
nell’inezia di un volo
come una storia in transito.
Trasfigurato è il mondo
Sotto il sottile velo,
fiato di nebbie all’alba
di un giorno
non svelato ancora.
Sole e pioggia, albe e tramonti, placide acque e tempeste si dipanano pagina dopo pagina. E poi c'è il vibrare di un imperativo amore per la vita, per gli affetti più cari. Va letto questo libro. Vale.