Il silenzio di Dio
Non solo il lutto, il dolore reale e devastante, ma anche quella solitudine che porta “al moltiplicarsi di visionari, di predicatori, di propaganda religiosa banale, di esotismi spirituali”, rappresentano il richiamo alle parole di Geremia di Gianfranco Ravasi in “Il silenzio di Dio. Meditazioni sul mistero del male e il coraggio della speranza”, (TS Edizioni, 208 pagine, 16 euro), nuova edizione di un testo uscito già nel 1988 per le Paoline. Una sofferenza amplificata dal senso di fallimento di quelle pretese umane di superamento della “illusione” della fede e dall’unico culto ammesso, quello della ragione e della materia. L’uomo si sente solo di fronte alla sua continua riscoperta della fragilità di quelle assolute certezze di progresso e miglioramento continuo. Dal fallimento di queste utopie, sembra dire il cardinal Ravasi, ecco scaturire nuove irrazionali illusioni nella magia, nell’alchimia, nella mescolanza di fedi e riti.
L’autore non invita ad un ottimismo acritico, anzi: ci chiede di camminare nel nostro oggi proprio attraverso le lamentazioni di Geremia, “timido e impacciato nel suo linguaggio” che vive e ammonisce alle soglie della distruzione e dell’esilio babilonese. Di qui l’accusa di uccello del malaugurio, di qui una profonda crisi di chi si sente spinto dal Signore alle maledizioni e alla solitudine.
Ma senza questo dolore non è possibile capire, né sentire dentro, la speranza, la ricostruzione psichica e la reazione. Ed è per questo che poi si può sfatare l’immagine eternamente cupa di un uomo che invece ricorda i tempi della gioia, del “tuo amore di fidanzata” dedicato ad Israele e sperare che attraverso il buio si possa intuire la nuova luce dell’alba e del nuovo incontro d’amore. Quell’amore che, sacrificato come incontro affettivo individuale, diventa nel profeta dedizione al popolo, agli altri e al loro bene. E a Dio.
È il coraggio della testimonianza, di affrontare la notte come passaggio obbligato ma consolante se fatto in pace con Dio, di resistere alle sirene delle scorciatoie individualistiche. Le parole di Geremia non sono ammonimenti in negativo, ma invito a iniziare una rinascita.
Quello che rende un punto di riferimento questo volume è proprio la sua capacità di aprirsi all’apparente negativo per comprenderne la necessità, nel senso greco di fatalità, e quindi ad un confronto, senza timore, con scrittori, filosofi, pensatori non sempre credenti, come Nietzsche, Pitagora, Büchner, Dostoevskij, ma poi Bernanos, Giorgio Caproni, Péguy, Musil e La Pira.
È la partecipazione al dolore degli altri una delle chiavi di volta per ritrovare il senso della vita, perché, come scrive Ravasi, “Dio è la radice di ogni vita ed è lui che fa sbocciare nuove vite nel mondo”.
L’attenzione per l’equilibrio dell’ecosistema anche nelle piccole cose quotidiane, l’aiuto per chi non ha un piatto caldo o non possiede una casa, per il malato abbandonato in un letto d’ospedale, sono la vera cura per il dolore degli altri e nostro.