La cucina, spazio vitale
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domenica pomeriggio mio figlio è tornato a casa in un orario non solito per lui, ha preso il pc e si è seduto in cucina. La cucina, coi suoi tre occhi aperti sul fuori, ha stuzzicato le mie considerazioni. Qui amano stare tutti; ora non è più il tempo delle camere chiuse dell’adolescenza con tanto di cartello, vero o virtuale, che ne vietava l’accesso agli adulti della famiglia. Il pavimento della cucina è sempre abbastanza trafficato: i passi del figlio preoccupato che deve prendere una decisione sulla fine del suo lavoro. E allora un girotondo di paure, speranze, il giornale del lunedì per le inserzioni di lavoro, l’ansia per un colloquio che lo vedrà protagonista, l’attesa per l’esito che non arriva.Passi di delusione che rallentano il ritmo fino a fermarsi davanti alla consapevolezza che in questo caso non ci sarà mai una risposta. E poi un altro lunedì e relativa offerta di lavoro, curriculum da spedire e altro colloquio. I passi si fanno frenetici, incerti e poi stupiti e gioiosi: la risposta c’è. Ora che è positiva si fa largo l’incertezza del nuovo, ma anche l’impazienza del mettersi in gioco. E la porta della cucina si chiude e si apre, questo andirivieni chiede di essere accolto, ascoltato, supportato, incitato: non vissuto da solo. E in cucina i genitori si fanno attenti, le posizioni si confrontano, scontrano, placano e rispettano ciò che questo figlio, non più cucciolo, decide per la sua vita. E poi i passi dell’altro figlio che vive una faticosa situazione di coppia. Un muoversi pesante e sofferto, e noi lo osserviamo aspettando un suo cenno per una confidenza, e dentro la cucina c’è un che di sacro.
Ci si muove con cautela, misurando i passi, fermandosi spesso, tra le carote da pulire e un crescente rendersi conto che questa sofferenza non può essergli risparmiata. Guai a farlo! Può solo essere condivisa e pregata perché volga al suo bene. Questi passi si fermano alla poltrona, questo cuore si apre a chi ha aspettato e accolto già tante volte questi patemi che chiedono risoluzioni.
A volte, dentro situazioni di sofferenza, questa stanza ci vede al tavolo, a fine cena, per gustare un dolce, un dolce che piaccia a tutti, per fare un poco di festa. Anche i ragazzi ora hanno imparato che fa bene festeggiare quando i cuori sono pesanti. Quando tutto va bene non c’è altro da fare, è già bello così, è già festa così, ma in certi momenti si ha bisogno di buttarsi su una fetta di torta in compagnia. Sapendo che ognuno della famiglia è solidale con gli altri.
Questa larga stanza accoglie ogni giorno la preghiera di chi ferma i suoi passi e si rimette, nel silenzio, alla volontà del Signore e affida tutto e tutti a lui. E allora la cucina diventa una cappella. La sera poi chiude i suoi occhi attendendo altri passi, un altro giorno.
11 nov 2015 00:00