Cattolici e politica
La lingua italiana nella sua intrigante proposizione comporta che sottili differenze persino semplicemente determinate dalla posposizione delle parole indichino sostanziali diversità. Da vecchio democratico cristiano vorrei appunto sottolineare come quella appartenenza fosse affermazione di positiva predisposizione inclusiva lasciando la possibilità a tutti di essere democratici. Dismesso quel doveroso ed emblematico posizionamento da qualche tempo è invalsa la moda, in chi fa politica condividendo una fede, di anticipare il suo credo e posticipare la sua caratteristica. In ciò escludendo coloro i quali, non si capisce perché, pur essendo della comune fede, non sono inclusi nelle categorie di appartenenza che con tanta presunzione propongono questi novelli “tutto loro”. Insomma abbiamo conosciuto i cattolici democratici, i cattolici maturi, i cattolici sociali, i cattolici adulti, i cattolici popolari, i cattolici consapevoli... e certo ne dimentico. Ovviamente tutte definizioni di chi si colloca politicamente dalla parte giusta... secondo loro. Purtroppo non comprendo perché mai dovrei essere non democratico, non maturo, non sociale, non adulto, non popolare, non consapevole per il semplice fatto di non essere nel partito giusto... secondo loro.
Ogni tanto guardare al passato, che certo qualche cosa insegna, potrebbe ben consigliare. Affermare come categoria della fraternità una peculiarità è certo affascinante, ma dovrebbe significare non acquisire per se e solo per se la capacità di rappresentarla e soprattutto di interpretarla. Le categorie fondanti della libertà e dell'uguaglianza sono un patrimonio disponibile da maneggiare con cura perché una delle due terribili ideologie che abbiamo conosciuto nel secolo scorso si faceva vanto di esserne interprete. Allora se un ruolo deve esserci nel rappresentare queste categorie deve essere in una postura, nella rappresentanza che si manifesta, di assoluto dialogo, non di presupponente ragione. L'opinione altra, invero supportata da un consenso democraticamente espresso, non può essere quotidianamente e perennemente demonizzata. Queste considerazioni sono pre politiche, sono però presupposto per promuovere inclusione piuttosto che respingimento, per promuovere attrazione piuttosto che rifiuto, per promuovere positivo approccio verso una società complessa. E qui ci sono poi le questioni più propriamente politiche. Così, proprio ricollegandosi all'ultimo concetto, è supponente e incomprensibile continuare nella definizione dell'altro come pericolo, altro che è semplicemente colui che sta in questo momento governando grazie al consenso democratico che ha ottenuto.
Il pericolo fascista sta ormai assumendo i toni di una barzelletta, sgradevole per chi come me della libertà e della democrazia ha avuto scuola. Non vale dilungarsi troppo, ma semplicemente ricordare le parole di una Partigiana, in piazza dellaLoggia il 25 aprile: “Mi dispiace molto vedere che l'impegno per costruire un futuro di libertà piena e vera sia piegato alla convenienza di una parte che vuole escludere chi non entra nel recinto degli slogan e delle ristrette convinzioni. Non esistono e non possono esistere gli auto nominatisi tutori dei valori della Resistenza. Quei valori appartengono a tutti, hanno mille sfumature, sono i colori, i suoni, i rumori tanto diversi che compongono questa giornata, che compongono e descrivono il nostro vivere. Ci siamo battuti per garantire un arcobaleno di libertà non per descrivere un tramonto di luce”. Quella Partigiana era la presidente delle Fiamme Verdi e mai usando la loro storia buona ha e avrebbe preteso di rappresentarle, lei che per altro la Resistenza l'aveva vissuta, per porle entrambe inopinatamente al servizio della sua parte politica. Il compito di una storia che appartiene al meglio della nostra cultura è quello di tendere la mano con comprensione per confrontarsi nella diversità. Il compito di una storia che appartiene al meglio della nostra politica è quello di promuovere la condizione di chi sta peggio. Ci si vuole rendere conto che il mondo come si è andato costruendo negli ultimi anni ha penalizzato invece che promosso la condizione di chi stava meglio senza migliorare, con ulteriore danno, la condizione di chi sta peggio? La ragionevolezza del confronto con la realtà del vivere normale richiede consapevole compostezza nel distinguere fra utile personale e di parte e progresso utile per tutti. Le politiche senza senno di una globalizzazione incontrollata e di un ideologico ambientalismo hanno portato ad essere in difficoltà intere categorie sociali.
Ma quale pericolo reazionario causato dai nazionalismi, il pericolo è la diffusione di una povertà di ritorno causata dalla pervicace proposizione di politiche che nulla hanno di liberale e di intelligente concorrenza. Chi ha promosso queste politiche? Si vuole avere l'onestà di vedere chi le ha promosse? E magari di riconoscere i propri errori? La riaffermazione di un valore di appartenenza ad un paese, ad una realtà, ad un legame non è reazionaria e pericolosa proposta quanto semplicemente affermazione di un valore fondante qualsiasi aggregazione sociale che dia coraggio e capacità di reagire costruendo.
Ma un inciso, doverosissimo, riguarda il fatto che le politiche dissennate non hanno portato ad alcun beneficio a chi stava peggio e rimane a stare peggio. Nei paesi che hanno beneficiato e in quelli che nulla hanno ottenuto del nostro disastro i diritti di benessere, libertà, democrazia ed uguaglianza sono rimasti assenti e sconosciuti. Il bene individuale e la democrazia non sono disgiunti. La debolezza strutturale di intere regioni del mondo per alcuni causa povertà materiale. La inesistente democrazia di grandi paesi del mondo per alcuni causa angustie e privazioni. La violenza del terrorismo integralista di significative zone del mondo causa per alcuni morte e miseria. Lo stato sociale che noi abbiamo realizzato per quei poveri non solo è inimmaginabile, ma è esattamente raggiungibile quanto è stato per Icaro raggiungere il Sole. Allora mantenere i nostri livelli non è egoismo, non è deprecabile “rifiuto dei diritti dell'uomo”, è condizione perché non tutti si precipiti all'indietro. È condizione perché si possa tendere la mano avendo noi un saldo perno a cui aggrapparci per aiutare. Spesso sembra che ci sia chi si crogiola nell'autocompiacimento del suo voler bene agli ultimi senza pensare e realizzare che gli ultimi sarebbero molto più contenti del progresso a loro portato piuttosto che della sussiegosa compassione. Ecco allora una proposizione positiva di affermazione del buono e del bene che abbiamo realizzato, certo consapevoli degli errori commessi, ma forti del merito di quanto compiuto e, ripeto, in grado di offrire concreta evoluzione.
Se una parte della popolazione del mondo vive decorosamente è perché quella parte ha conosciuto la democrazia liberale, ha conosciuto la bontà di una religione che non dispone, ha conosciuto il valore dei doveri e non solo la prepotenza dei singoli e individuali diritti, spesso inappropriata e ultimamente molto di moda da noi.
Il secolo scorso ci ha insegnato che le ideologie perverse sono state battute con la forza, prima delle armi e poi dell'economia. Certo le armi, oggi, sono una intollerabile opzione, ma anche qui dobbiamo essere rigorosi. È complicità e connivenza con il terrorismo non offrire una speranza di libertà a chi non la conosce perché non è a loro consentita proprio dal terrore. È un obbligo ed un dovere condannare e distruggere il terrore di chi ha portato morte e distruzione. E non significa imbracciare le armi, significa non dare al terrorismo alcuna sponda di comprensione. Significa dare a chi è sottoposto alla dittatura degli assassini la speranza e la forza per costruirsi un futuro di pace, quella vera non quella untuosa e viscida del buonismo. Significa essere ultimativi nella condanna senza l’incertezza blasfema di una giustificazione del loro spregevole comportamento. Significa non balbettare raccomandazioni alla bontà di una falsa pace, ma significa semplicemente la distinzione fra il bene da difendere ed il male da combattere. L'esorcista scaccia il demonio non si appella alla sua comprensione. Quale comprensione si può offrire a chi ha come regola la distruzione e l’annientamento dell’altro. È semplicemente il giustificazionismo dei pavidi! Il futuro è una affermazione di desiderio positivo. Una tensione alla realizzazione di quanto di meglio si può fare sempre tenendo presente quella tavolozza di colori delle diverse sensibilità che grazie alle nostre libertà possiamo godere nel suo dispiegarsi. La libertà non è una condizione da sbandierare come propria, è una condizione da condividere come di tutti. In un paese democratico come il nostro le leggi ed il loro rispetto servono come discrimine per premiare il bisognoso e colpire l'approfittatore. Consentire per ossessione ideologica di parte che non si rispettino a prescindere danneggia la bontà necessaria. La bontà è prima di tutto nel rispetto delle regole dell’onesto convivere e non nella certa garanzia dell’indulgenza solo per la propria ragione.
