Una scelta contro la dignità della vita
La Corte costituzionale ritenendo non punibile ai sensi dell'articolo 580 del codice penale "chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi", apre la strada al suicidio assistito. La reazione critica dei Vescovi italiani che rigettano questa apertura e dell'associazione Scienza&vita
La Corte costituzionale apre al suicidio assistito. È arrivata ieri sera la decisione dei giudici della Suprema Corte sulla compatibilità con la Costituzione dell'articolo 580 del codice penale che punisce l'aiuto e l'istigazione al suicidio con la reclusione fino a 12 anni.
La Consulta, con comunicato diffuso ancora ieri sera, ha ritenuto non punibile ai sensi dell'articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, "chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli".
In attesa di un "indispensabile intervento del legislatore", la Corte Costituzionale ha "subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente".
La Corte costituzionale ha previsto "specifiche condizioni e modalità procedimentali", perché l'aiuto al suicidio rientri nelle ipotesi non punibili, "per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili, come già sottolineato nell'ordinanza 207 del 2018".
Si può e si deve respingere la tentazione, indotta anche da mutamenti legislativi, di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia”. I vescovi italiani si ritrovano “unanimi nel rilanciare queste parole di Papa Francesco” e “in questa luce esprimono il loro sconcerto e la loro distanza da quanto comunicato dalla Corte Costituzionale”. È con una nota che la Presidenza della Cei esprime le critiche sulla sentenza della Corte costituzionale: “La preoccupazione maggiore è relativa soprattutto alla spinta culturale implicita che può derivarne per i soggetti sofferenti a ritenere che chiedere di porre fine alla propria esistenza sia una scelta di dignità. I vescovi confermano e rilanciano l’impegno di prossimità e di accompagnamento della Chiesa nei confronti di tutti i malati. Si attendono che il passaggio parlamentare riconosca nel massimo grado possibile tali valori, anche tutelando gli operatori sanitari con la libertà di scelta”.
Sulla sentenza è intervenuta anche l’associazione Scienza&vita. “Con la decisione di non punire alcune situazioni di assistenza al suicidio – scrive in una nota il presidente Alberto Gambino -, la Corte costituzionale italiana cede ad una visione utilitaristica della vita umana ribaltando la lettura dell’articolo della nostra Carta che mette al centro la persona umana e non la sua mera volontà, richiedendo a tutti i consociati doveri inderogabili di solidarietà: da oggi non sarà più un dovere sociale impedire sempre e ovunque l’uccisione di un essere umano”. “Partendo da un caso di grave disabilità, come quello del dj Fabiano Antoniani, e non da una situazione di malattia terminale, dove invece già era intervenuta la legge sul fine-vita del 2017, - continua ancora Scienza&Vita - la Corte ha ceduto a una lettura ideologica dei radicali italiani che hanno dato origine al caso, sradicando la solidarietà che da sempre mira a impedire gesti estremi a chi versa in situazioni di fragilità, per aprire ad ipotesi di loro uccisione”. “Dispiace – continua il presidente Gambino – che la riconosciuta saggezza del nostro supremo organo di garanzia sulle leggi non abbia colto l’impatto culturale che l’apertura al suicidio assistito potrà comportare sulle prassi sanitario-assistenziali anche, purtroppo, per motivi di costi e risparmi di spesa”. “Ora compito di quanti hanno a cuore la cura delle persone che versano in condizioni vulnerabili – aggiunge il presidente di Scienz&vita – dovrà indirizzarsi verso la riduzione al massimo dell’impatto sociale di questa cruciale sentenza della Consulta”. “C’è però anche un altro aspetto da considerare – ribadisce Gambino – la Corte infatti lascia aperto uno spiraglio che permette al Parlamento di intervenire. È un invito forte al mondo della politica a riportare in aula la discussione di un tema così importante e delicato e a valutare bene la situazione. Per questo richiama il parlamento a valutare bene le ricadute della legge le cui ricadute potrebbero di fatto penalizzare e non poco i più fragili. Solo dopo che avremo letto la sentenza – conclude Gambino -, potremo effettivamente capire se vi siano altri requisiti oltre quelli già presenti nell’ordinanza”.