Si può fare a meno della sanità pubblica?
Un lungo appello indirizzato al governo e alla politica
Il servizio sanitario italiano, che ha contribuito a produrre il più marcato incremento dell’aspettativa di vita tra i Paesi ad alto reddito, è in crisi e gravemente sottofinanziato. Serve un piano straordinario di finanziamento del Snn, con risorse destinate a rimuovere gli squilibri territoriali. Pubblichiamo l'appello di un gruppo di medici e scienziati in difesa del Servizio sanitario nazionale. Parte da questa constatazione la lettera appello “Non possiamo fare a meno del servizio sanitario pubblico” arrivata nei giorni scorsi sul banco del governo. A sottoscrivere questo appello, però, non sono rappresentanti politici delle opposizioni, ma figure di peso del mondo medico-scientifico italiano che ogni giorno sono a contatto con quell’universo messo a rischio da una politica che gli dedica sempre meno risorse e attenzioni. Tra i firmatati, il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi, il farmacologo Silvio Garattini, il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli e l'immunologo Alberto Mantovani. Questo, in sintesi, il contenuto della lettera-appello.
Dal 1978, data della sua fondazione, al 2019 il servizio sanitario nazionale in Italia ha contribuito a produrre il più marcato incremento dell’aspettativa di vita, passata da 73,8 a 83,6 anni, tra i Paesi ad alto reddito. Ma oggi i dati dimostrano che il sistema è in crisi: arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali. Questo accade perché i costi dell’evoluzione tecnologica, i radicali mutamenti epidemiologici e demografici e le difficoltà della finanza pubblica, hanno reso fortemente sottofinanziato il servizio sanitario nazionale, al quale nel 2025 sarà destinato il 6,2% del PIL (meno di vent’anni fa).
Il pubblico garantisce ancora a tutti una quota di attività (urgenza, ricoveri per acuzie), mentre per il resto (visite specialistiche, diagnostica, piccola chirurgia) il pubblico arretra, e i cittadini sono costretti a rinviare gli interventi o indotti a ricorrere al privato. Progredire su questa china, oltre che in contrasto con l’Art.32 della Costituzione, ci spinge verso il modello Usa, terribilmente più oneroso (spesa complessiva più che tripla rispetto all’Italia) e meno efficace (aspettativa di vita inferiore di sei anni). La spesa sanitaria in Italia non è grado di assicurare compiutamente il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e l’autonomia differenziata rischia di ampliare il divario tra Nord e Sud d’Italia in termini di diritto alla salute.
È dunque necessario un piano straordinario di finanziamento del Ssn e specifiche risorse devono essere destinate a rimuovere gli squilibri territoriali. La allocazione di risorse deve essere accompagnata da efficienza nel loro utilizzo e appropriatezza nell’uso a livello diagnostico e terapeutico, in quanto fondamentali per la sostenibilità del sistema. Ancora, l’SSN deve recuperare il suo ruolo di luogo di ricerca e innovazione al servizio della salute.
Parte delle nuove risorse deve essere impiegata per intervenire in profondità sull’edilizia sanitaria, in un Paese dove due ospedali su tre hanno più di 50 anni, e uno su tre è stato costruito prima del 1940. Ma il grande patrimonio del servizio sanitario nazionale è il suo personale: una sofisticata apparecchiatura si installa in un paio d’anni, ma molti di più ne occorrono per disporre di professionisti sanitari competenti, che continuano a formarsi e aggiornarsi lungo tutta la vita lavorativa. Nell’attuale scenario di crisi del sistema, e di fronte a cittadini/pazienti sempre più insoddisfatti, è inevitabile che gli operatori siano sottoposti a una pressione insostenibile che si traduce in una fuga dal pubblico, soprattutto dai luoghi di maggior tensione, come l’area dell’urgenza. È evidente che le retribuzioni debbano essere adeguate, ma è indispensabile affrontare temi come la valorizzazione degli operatori, la loro tutela e la garanzia di condizioni di lavoro sostenibili. Particolarmente grave è inoltre la carenza di infermieri (in numero ampiamente inferiore alla media europea).
Da decenni si parla di continuità assistenziale (ospedale-territorio-domicilio e viceversa), ma i progressi in questa direzione sono timidi. Oggi il problema non è più procrastinabile: tra 25 anni quasi due italiani su cinque avranno più di 65 anni (molti di loro affetti da almeno una patologia cronica) e il sistema, già oggi in grave difficoltà, non sarà in grado di assisterli.
La spesa per la prevenzione in Italia è da sempre al di sotto di quanto programmato, il che spiega in parte gli insufficienti tassi di adesione ai programmi di screening oncologico che si registrano in quasi tutta Italia. Ma ancora più evidente è il divario riguardante la prevenzione primaria; basta un dato: abbiamo una delle percentuali più alte in Europa di bambini sovrappeso o addirittura obesi, e questo è legato sia a un cambiamento – preoccupante – delle abitudini alimentari sia alla scarsa propensione degli italiani all’attività fisica. Molto va investito, in modo strategico, nella cultura della prevenzione (individuale e collettiva) e nella consapevolezza delle opportunità ma anche dei limiti della medicina moderna.
Molto, quindi, si può e si deve fare sul piano organizzativo, ma la vera emergenza è adeguare il finanziamento del SSN agli standard dei Paesi europei avanzati (8% del PIL), ed è urgente e indispensabile, perché un SSN che funziona non solo tutela la salute ma contribuisce anche alla coesione sociale.
La lunga argomentazione a sostegno del servizio sanitario nazionale è supportata da dieci interrogativi: Possiamo fare a meno del Ssn? Stiamo finanziando adeguatamente il nostro Ssn? Le strutture sanitarie sono moderne e adeguate? Gli operatori del SSN si sentono valorizzati, tutelati e motivati? La continuità assistenziale sta funzionando? L’organizzazione del Ssn e la misurazione dei suoi risultati sono efficienti, efficaci e utilizzano le tecnologie disponibili? Stiamo governando adeguatamente l’immissione delle nuove tecnologie? L’accesso alle cure è agevole e sufficientemente tempestivo? Le attuali politiche di prevenzione sono sufficienti? I cittadini sono consapevoli della complessità del tema salute e hanno gli strumenti per essere protagonisti?
“Tra qualche anno – è la conclusione del documento – celebreremo il 50° compleanno del nostro SSN: mantenerlo efficiente e in buona salute è un dovere morale verso le prossime generazioni, per non disperdere un patrimonio unico che abbiamo avuto la fortuna di ereditare”.
“Voglio continuare a vivere in un paese in cui una persona, se si ammala, debba preoccuparsi solo di guarire. Non di quanto costa la sua cura, o di cosa fare quando scade l'assicurazione". Ha ribadito Alberto Mantovani, immunologo e direttore scientifico di Humanitas tra i firmatari dell’appello, in un'intervista a Repubblica dove parla della scelta di sottoscrivere la lettera appello per salvare il servizio sanitario nazionale. Una scelta dettata come riferisce anche dai dati dell' ultimo rapporto del Censis e dell'Aiop (l'Associazione degli ospedali privati) "secondo cui l'Italia sta andando verso una salute per censo, in cui solo i ricchi riescono a curarsi nel migliore dei modi".
Poi c'è il tema della carenza di medici i determinati settori usuranti. "Oggi gli studenti di medicina sono molto meglio preparati di quando io ero studente. Forse però non riusciamo a trasmettere bene la componente vocazionale di questo mestiere - prosegue -. Ai miei tempi c'era la coda per entrare a chirurgia, oggi la coda si è trasferita a chirurgia estetica. Vivo con angoscia questa mancanza di attrattività da parte di alcuni settori che pure sono il cuore della nostra professione. Penso alla medicina d'urgenza, ma uguale importanza hanno tutte le professioni sanitarie e infermieristiche".
Allo Stato "chiediamo più risorse, controllo sulla qualità clinica ed efficienza. Se getti più risorse in un sistema che spreca, infatti, non farai grandi passi avanti. C'è bisogno di meno burocrazia - conclude -. E serve un uso più appropriato di esami e farmaci, a partire dagli antibiotici. È anche vitale sostenere molto di più la ricerca".