Salute e povertà educativa: Italia in difficoltà
Rispetto a lotta alla povertà e alle diseguaglianze, i Goal (n 1 e 10) dell'Agenda 2030 sono sempre più lontani: dal 2010 al 2022, infatti, l'Italia è addirittura arretrata, rispetto a questi due obiettivi: lo denunciano il Forum Disuguaglianze e Diversità e l’ASviS, intervenendo all’evento “Il pubblico che serve: come assicurare equità di accesso e dignità del lavoro”, organizzato dalle due organizzazioni nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2024.
Gli indicatori compositi costruiti dall’ASviS (sulla base di dati prodotti dall’Istat e da altri enti della statistica ufficiale) segnalano infatti per il nostro Paese un’evoluzione decisamente insoddisfacente per gran parte dei 17 Obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’Onu.
In particolare, la speranza di vita in buona salute nel 2023 risultava essere pari a 60,2 anni, con una riduzione di 0,5 anni rispetto a quanto registrato nel 2022. Le stime prevedono che questo indicatore cresca nei prossimi anni fino a raggiungere i 60,7 anni. “Affinché cresca sempre di più è necessario investire sulla prevenzione e allontanarsi da una logica prestazionale del servizio sanitario – commentano le due organizzazioni - spostando l’interesse sul raggiungimento di una dimensione di salute complessiva del cittadino che tenga conto, tra le altre cose, anche della salute mentale, integrandola nella cura complessiva della persona. I dati sulla spesa pubblica in sanità rispetto al PIL mostrano un trend di decrescita. Il 2024 infatti ha visto una riduzione dell’investimento dal 6,6% del 2023 al 6,2%, con una prospettiva di scendere ulteriormente fino al 6,1% nel 2026”.
Per quanto riguarda la povertà educativa, per il periodo 2023-2026 si stima una crescita dello 0,2% dell’indicatore di uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione rispetto agli anni precedenti: il dato è in controtendenza rispetto agli obiettivi europei e dell’Agenda 2030 e non in linea con la significativa riduzione dell’indicatore registrata tra il 2020 (dato fortemente influenzato dalla pandemia) e il 2022 (livello più basso registrato dal 2018), periodo in cui è passato dal 14,2% all’11,5%.
Preoccupano anche i dati sulla povertà assolta: nel 2023, in Italia 5,7 milioni di persone erano in condizioni di povertà assoluta (il 9,8% della popolazione residente, in crescita di 0,1 punti percentuali rispetto all’anno precedente e di 0,8 punti rispetto al 2021) per un totale di 2 milioni e 235mila famiglie. La povertà assoluta continua a colpire i giovanissimi in modo marcato, con 1,3 milioni di minorenni (il 14%, valore più alto dal 2014) che vivono in famiglie in una condizione di povertà assoluta. Non solo: il rapporto fra l’ammontare del reddito disponibile equivalente del quinto di popolazione con il reddito più alto e quello del quinto con il reddito più basso, che misura la diseguaglianza di reddito netto (S80/S20), pari a 5,6 nel 2021, a 5,8 nel 2022 e a 5,9 nel 2023, resterà sostanzialmente invariato (5,8) per il periodo 2024-2026. Lavoro povero e precarietà lavorativa rappresentano un fattore rilevante nell’aumento delle disuguaglianze: secondo i dati Eurostat, nel 2022 la quota di persone regolarmente occupate a rischio povertà è pari all’11,5%, contro una media europea dell’8,5%.
In un contesto segnato da tale peggioramento, il Forum Disuguaglianze e Diversità e l’ASviS ribadiscono che, per garantire l’universalità di accesso ai servizi sociali essenziali e tutelare la dignità di lavoratori e lavoratrici impegnati nel settore occorre una regia pubblica forte e capace di attivare processi di co-progettazione e co-programmazione con il privato sociale, che deve proporsi come un attore competente, in grado di rilevare la multidimensionalità dei bisogni delle persone. Di questi argomenti si è discusso.
“Per affrontare l’aumento dei divari sociali e territoriali occorre dare attuazione a politiche sociali funzionali al perseguimento di uno sviluppo sostenibile, nell’ambito di una programmazione di ampio respiro accompagnata da investimenti adeguati – afferma Pierluigi Stefanini, presidente dell’ASviS. – L’accessibilità e l’inclusività dei servizi sociali si realizza coniugando lo sviluppo locale con la coesione territoriale, coinvolgendo le persone e le comunità, ed evitando la frammentazione verso cui tende la riforma per l’autonomia differenziata, che rischia di aumentare le disuguaglianze economiche e sociali e limitare le opportunità di generare uno sviluppo sostenibile nei territori più fragili, in particolare il Sud Italia”.
Per Andrea Morniroli, co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità, “serve un pubblico che sia così competente e lungimirante da affiancare il proprio ruolo di coordinamento e governo dei processi e degli interventi riconoscendo gli altri soggetti non come meri “attuatori” di politiche ma come “attori” delle stesse. Un pubblico consapevole che la complessità dell’oggi può essere affrontata solo con la messa a sistema di una funzione pubblica agita come ambito collettivo e multi-attoriale”.