Rossini: Rischio povertà per le famiglie
Con il fermo delle attività produttive generato dall'emergenza sanitaria ci sono intere categorie di persone e lavoratori che già ora sono diventati poveri. Per evitare di essere travolti da una frana sociale, spiega Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli, è quindi necessario intervenire subito con dei “muri di contenimento”
Il rischio è quello di avere a breve “decine di migliaia di famiglie in povertà assoluta”, oltre a quelle che lo erano prima dell’emergenza. Ma ci sono intere categorie di persone e lavoratori che già ora sono diventati poveri. Per questo bisogna intervenire subito con dei “muri di contenimento” per evitare di essere travolti da una frana sociale. I primi interventi del governo vanno nella “giusta direzione”, ma sono necessarie più risorse e nuovi strumenti. Roberto Rossini, è presidente nazionale delle Acli e portavoce dell’Alleanza contro la povertà, due ruoli distinti eppure accomunati da un’unica preoccupazione per le conseguenze sociali dell’epidemia. Ci parla da Brescia, la sua città, nel cuore dell’Italia più colpita dal coronavirus: “Sul versante del lavoro l’intervento più urgente è quello di evitare che lavoratori già in condizione di fragilità cadano nella povertà assoluta. Penso per esempio ai lavoratori in nero o in grigio, a colf e badanti, agli stagionali, agli atipici non dipendenti, alle categorie che non sono coperte dal decreto Cura Italia”.
Gli interventi del governo, quindi, sono ancora insufficienti?
Come presidente delle Acli mi sento di dire che complessivamente vanno nella giusta direzione, la complicazione nasce dal fatto che in Italia il mondo del lavoro è estremamente diversificato. Se in teoria avessimo solo dipendenti a tempo indeterminato, allora con la cassa integrazione, quella semplice e quella in deroga, riusciremmo a raggiungerli tutti. Sappiamo bene, però, che la situazione è completamente diversa. Prenda un cameriere che ha lavorato la scorsa estate e magari è stato richiamato a Natale e Capodanno: ora non ha più niente. E gli esempi potrebbero essere infiniti. Dunque va bene la cassa integrazione, va bene la Fis (il Fondo d’integrazione salariale, ndr), vanno bene i 600 euro per gli autonomi, anche se al momento l’indennizzo è previsto solo per il mese di marzo, ma non riusciamo ugualmente a coprire tutti i lavoratori. O si migliora, allargandola e potenziandola, la misura dei 600 euro, oppure bisogna pensare a un altro tipo di indennità.
Dovrebbe essere il Rem, il Reddito d’emergenza, di cui si sta discutendo in questi giorni…
E’ una proposta che mi pare sensata, per quel che si conosce, ma aspettiamo di capire come si concretizzerà.
Per far fronte alle situazioni di povertà, le misure di sostegno alimentare varate dal governo possono essere efficaci?
Sul versante della povertà serve un doppio passo, una manovra a tenaglia. La misura governativa di sostegno alimentare è un primo passo, da potenziare ulteriormente. L’aspetto positivo è che si siano coinvolti i Comuni e il Terzo settore, che forse andrebbe coinvolto anche di più. Ci sono situazioni che solo gli enti locali e i soggetti del Terzo settore conoscono e possono raggiungere. E spesso sono le situazioni di povertà più radicale. E’ un metodo che sarà utilissimo praticare anche in futuro, nella fase dopo l’emergenza. L’altro passo necessario è snellire e semplificare in via temporanea i criteri e le procedure del Reddito di cittadinanza, per consentire rapidamente l’accesso a categorie che ne sono escluse e invece sono già povere. In particolare, bisogna che in questa fase si tenga conto dell’Isee corrente, non di quello basato sui redditi dello scorso anno. Redditi che spesso non ci sono più o sono ridotti a poco più di niente.
Nell’emergenza che ruolo sta svolgendo il Terzo settore?
Ho già accennato al discorso della co-progettazione con gli enti locali che già oggi si sperimenta in modo molto proficuo. Ci sono gruppi di persone che non sono nelle condizioni materiali o giuridiche per ricevere dei soldi, ma che possono essere aiutati finanziando dei servizi a loro destinati. Mi viene in mente il dormitorio della mia città per i senza fissa dimora: dove altrimenti potrebbero andare in un momento del genere? Non finiremo mai di ringraziare il personale sanitario per il vero e proprio eroismo di queste settimane. Ma non è una punta isolata. C’è una seconda linea di uomini e donne che rischiano in proprio per occuparsi anche in questo frangente dei senza fissa dimora, appunto, degli anziani soli, dei malati di mente, dei tossicodipendenti, di tante persone che senza questa presenza sarebbero abbandonate a se stesse.