Ermes Ronchi: Solo insieme ci salviamo
Padre Ermes Ronchi: “La salvezza o sarà di tutti o non sarà. Perché tutto è interconnesso”. Leggi l'intervista curata dal direttore de La Voce dei Berici
Sabato 22 aprile si è celebrata in tutto il mondo la Giornata della Terra, un appuntamento che ha l'obiettivo di sensibilizzare sulla necessità di proteggere la Casa comune minacciata dalle azioni dell'uomo. Per coglierne il valore, evidenziare cosa c'è in gioco, indicare chi e cosa si sta facendo in questa direzione "La voce dei Berici" ha incontrato a Isola Vicentina, al convento di S. Maria del Cengio, padre Ermes Ronchi dei Servi di Maria, teologo e scrittore, particolarmente attento e impegnato nella promozione della cura della "Casa comune"
Padre Ermes l’edizione 2023 della Giornata della Terra ci invita a “Investire sul nostro Pianeta”. Chi chiama in causa questo appello?
Dobbiamo guardare a due direttrici. La prima è la singola persona, la seconda è rappresentata dalle grandi istituzioni.
Il singolo da solo non ce la può fare, ma neppure le istituzioni da sole riusciranno a produrre il cambiamento, se non cambia il cuore dell’uomo, la sua consapevolezza.
Dobbiamo essere singolarmente custodi miti e determinati della Terra, ma sotto la pressione dei singoli e dei gruppi devono diventarlo anche i Grandi del Mondo, che ancora non si rendono conto della drammaticità della situazione.
In questi anni la sensibilità ecologica è cresciuta. È abbastanza per invertire la tendenza che sta minacciando il Pianeta?
No. Bisogna fare di più. La sensibilità ecologica può anche essere una moda culturale e perfino teologica.
Il problema vero è la conversione ecologica, il cambiamento profondo di mentalità e azione.
È quello che invoca anche la Laudato Si’. Dobbiamo convertirci a una relazione diversa con le altre creature, alla relazione che c’è nella famiglia, alla cura. Come San Francesco, che parlava di madre terra, di frate vento, frate foco, sora acqua… Questa è la conversione che l’istituzione non può produrre, perché per lo più agisce nel nome della paura, della convenienza politica o dell’interesse, invece chi si converte agisce nel nome di una passione. L’istituzione segue altre logiche. Le grandi rivoluzioni o avvengono per grande violenza o per grandi convincimenti interiori.
In questa direzione può aiutare il dialogo tra le religioni?
Certamente. Credo che la conversione ecologica possa produrre una mediazione nel cammino interreligioso. Questa Casa comune è abitata da tutte le fedi, le fa incontrare attorno a un problema che è questione di vita o di morte per tutti, convoglia tutti i credenti nelle stesse scelte e azioni di custodia condivise. E può diventare, anzi è già diventata, il terreno comune di una collaborazione tra credenti e non credenti. Direi anche il luogo di una nuova evangelizzazione.
Ma come può avvenire questa conversione?
Non è in nome della paura di una catastrofe futura che ci si converte, ma in nome di una passione per l’esistente.
La fede non si nutre di definizioni o dichiarazioni o dogmi. La fede, come afferma Kierkegaard, è nell’infinita passione per l’esistente. Patire e appassionarsi per il bene comune e ogni vivente. Qui ci si può incontrare.
Tutto questo può anche diventare annuncio evangelico?
Forse è la nuova via per il futuro dell’evangelizzazione. Ricordo un passaggio straordinario nella Laudato Si’ dove si legge che come credenti abbiamo “la consapevolezza che ogni creatura riflette qualcosa di Dio e ha un messaggio da trasmetterci, abbiamo la certezza che Cristo ha assunto in sé questo mondo materiale e ora, risorto, dimora nell’intimo di ogni essere, circondandolo con il suo affetto e penetrandolo con la sua luce”.
Senti che visione potente c’è in queste parole!
Abbiamo un annuncio di risurrezione che riguarda l’intero universo e ogni singolo vivente: il Risorto è entrato in tutte le creature e rinnova dall’intero la vita di ciascuno.
E le conduce tutte misteriosamente verso il loro destino di pienezza. La creazione intera “geme in attesa della salvezza”.
La salvezza o sarà di tutti o non sarà. Perché tutto è interconnesso, e il grido dei poveri e il grido di madre Terra fanno un unico grido.
È la visione dei grandi mistici. Pensiamo alla creazione. L’uomo non è fatto di argilla o creta, ma di polvere del suolo, dice letteralmente la Bibbia, la cosa più inconsistente, più volatile: poi vi soffiò il suo alito di vita. Siamo un miracoloso impasto di polvere di pianeti e di alito divino: nel nostro Dna c’è il cromosoma divino insieme con il gene della terra.
Negli ultimi tempi anche le nostre comunità ecclesiali locali cominciano ad avere una attenzione reale a questi temi. Che riscontro ha dal suo osservatorio a tale riguardo?
Ci sono segnali molto interessanti. Certo, siamo all’inizio, ma vedo molte realtà ecclesiali, parrocchie e diocesi intere che stanno facendo passi di sorprendente creatività in questa direzione. La costituzione di comunità energetiche, per esempio, in cui può inserirsi il credente come il non credente, mostrano che la condivisione di fonti energetiche può diventare una autentica forza sociale di comunione.
Celebriamo la giornata della Terra mentre contiamo i giorni che mancano di pioggia alle nostre terre sempre più in sofferenza per la siccità. Ma servono davvero queste giornate o rischiano di essere una moda?
Servono alla coscienza; ad esempio a renderci conto che l’acqua non è un diritto, ma un dono; servono a innescare stili di vita nuovi, responsabili e concreti.
Vogliamo salvare la vita? Dobbiamo cambiare vita. Senza questo cambiamento non siamo credibili.
Questo può essere il criterio per capire se stiamo facendo sul serio o no.
In questa direzione ci stanno arrivando dei segnali dai giovani, segnali spesso di rabbia, al limite dell’illegalità. Come mettersi in ascolto delle giovani generazioni che stanno protestando nei confronti di un mondo adulto per troppo tempo disattento?
Certo si tratta di azioni legate alla spinta rivoluzionaria che hanno in loro i giovani, ma anche alla loro passione per l’esistente. È interessante se riescono a diventare riflessione, se innescano dei confronti. In questo senso sono degli inneschi, una sorta di miccia, danno da pensare e questo è interessante.
Rispetto alla concretezza più volte richiamata, qual è la vostra esperienza come Casa dei sentieri e dell’Ecologia integrale?
C’è una condivisione significativa sia dei singoli che da parte delle istituzioni. In questo momento non avanziamo proposte concrete (ce ne sono già molte) noi cerchiamo di lavorare a monte sulla coscientizzazione, sulla conversione ecologica, nelle scuole, come presidio della Laudato Si’ sul territorio, e là dove siamo chiamati a testimoniare. Accanto a questo ci impegniamo nell’esplorazione delle economie alternative, come l’economia circolare o di dono, con alcuni specialisti, sul tema delle comunità energetiche, e contribuendo a far rete.
C’è qualche esempio concreto?
Lo abbiamo sperimentato il Lunedì di Pasqua, quando la comunità di Isola scioglie un voto secolare alla Madonna del Cengio, custode del creato. Quest’anno si sono messi assieme l’Unità pastorale, con le sue quattro parrocchie, la società civile, l’Amministrazione comunale, le associazioni, il Convento dei Servi e la Pro Isola. Ne è scaturito un cammino ecologico, con soste di riflessione lungo il percorso, sulla biodiversità, sulla crisi dell’acqua.
È stato un momento che ha unito ecologia e spiritualità, senso di appartenenza alla comunità locale e a quella planetaria.
Una proposta molto riuscita, che credo abbia fatto bene a tanti e aiutato a far crescere la comunità.