Povertà educativa: i numeri italiani
Presentato nei giorni scorsi un rapporto che prende in considerazione i ragazzi tra i 14 e i 19 anni, età in cui emergono in modo forte i divari negli apprendimenti, troppo spesso collegati con l’origine sociale, e che avranno un’influenza nella successiva scelta di abbandonare la scuola. Sul divario che si nota nel Paese pesano anche le conseguenze della pandemia
Nell’adolescenza emergono in modo forte i divari educativi, ma molto spesso essi dipendono dalla condizione di partenza. Il luogo di nascita e di residenza e la condizione sociale della famiglia contribuiscono a determinare molti aspetti: dall’origine sociale e familiare ai livelli negli apprendimenti; dalle prospettive nel territorio in cui si abita all’impatto dell’abbandono scolastico. Su questi fattori, purtroppo, l’emergenza Covid rischia di incidere in modo fortemente negativo. L’Osservatorio #conibambini, promosso da Openpolis e Con i Bambini, ha presentato nei giorni scorsi, online il suo nuovo report nazionale “Scelte compromesse. Gli adolescenti in Italia, tra diritto alla scelta e povertà educativa minorile”, che indaga il fenomeno della povertà educativa legato a questa fascia di età. In Italia vivono 3 milioni di persone tra 14 e 19 anni. Se consideriamo la fascia di età che frequenta medie e superiori e limitandosi ai minori, sono 4 milioni i ragazzi di età compresa tra 11 e 17 anni. Si tratta di quasi la metà dei minori residenti in Italia (42%) e del 6,67% della popolazione italiana.
Tra gli alunni di terza media, all’ultimo anno prima della scelta dell’indirizzo da prendere, i divari sociali sono molto ampi. Chi ha alle spalle una famiglia con status socio-economico-culturale alto, nel 54% dei casi raggiunge risultati buoni o ottimi nelle prove di italiano. Per i loro coetanei più svantaggiati, nel 54% dei casi il risultato è insufficiente”, si legge nel rapporto evidenziando “come la condizione sociale si trasmetta di generazione in generazione”. Dai dati sull’abbandono scolastico emerge che “i due terzi dei figli con entrambi i genitori senza diploma non si diplomano a loro volta”. Il livello di istruzione, di competenze e conoscenze è strettamente collegato anche alle possibilità di sviluppo di un territorio: “Nei test alfabetici l’87% dei capoluoghi del nord Italia presenta un risultato superiore alla media italiana. Nell’Italia meridionale e centrale la quota di comuni che superano questa soglia scende rispettivamente al 25% e al 36%”. Uscire dalla scuola superiore senza un’istruzione adeguata, poi, è un “rischio molto più concreto nelle aree interne, dove l’offerta educativa viene più spesso minata da fattori come l’alta mobilità dei docenti, pluriclassi composte da alunni di età diverse, scuole sottodimensionate”. Confrontando i risultati Invalsi degli adolescenti che vivono nelle aree interne con il dato medio regionale, si vede che “i punteggi degli adolescenti dei comuni interni sono più bassi di quelli dei loro coetanei” e che “la condizione educativa delle aree interne non è omogenea in tutto il Paese”.
Il rapporto segnala anche che nelle grandi città c’è una “relazione inversa tra gli indicatori di benessere economico (ad esempio, il valore immobiliare) e la quota di neet”: “I giovani che non lavorano e non studiano spesso si concentrano nelle zone socialmente ed economicamente più deprivate”. Così, “a Napoli, i 10 quartieri con più neet in ben 8 casi compaiono anche nella classifica delle 10 zone con più famiglie in disagio. A Milano, Quarto Oggiaro ha il doppio di neet rispetto a zona di corso Buenos Aires. A Roma, a Torre Angela la quota di neet è oltre il doppio del quartiere Trieste”. Un grande peso ha la cittadinanza: è di 25,2 il divario in punti percentuali tra l’abbandono dei giovani con cittadinanza straniera e i loro coetanei.
In Italia un adolescente su 12 ha una cittadinanza diversa da quella italiana, oltre 300mila, se si considerano i residenti tra 11 e 17 anni. Nel caso degli adolescenti senza la cittadinanza italiana, si riscontrano “difficoltà di inserimento nel percorso scolastico”, “disuguaglianze nell’accesso agli indirizzi delle scuole superiori”, “abbandono precoce degli studi”.
Il rapporto fotografa anche la situazione prima dell’emergenza Covid: “Già nel 2019, il 9,2% delle famiglie con almeno un figlio si trovava in povertà assoluta (contro una media del 6,4%); quota che tra i nuclei con 2 figli supera il 10% e con 3 o più figli raggiunge addirittura il 20,2%. Il 41,9% dei minori vive in una abitazione sovraffollata”. Ulteriori criticità riguardavano i divari tecnologici. Prima dell’emergenza, 2il 5,3% delle famiglie con un figlio dichiarava di non potersi permettere l’acquisto di un computer. E appena il 6,1% dei ragazzi tra 6-17 anni viveva in una casa con disponibilità di almeno un pc per ogni membro della famiglia”. Perciò, l’esperienza della pandemia è stata ed è spesso tuttora vissuta in modo molto diverso sul territorio nazionale, basti pensare “all’impatto del lockdown per i bambini e i ragazzi che vivono in case sovraffollate, oppure alla possibilità di svolgere la didattica a distanza dove mancano i dispositivi o l’accesso alla rete veloce”.
“Con la pandemia le disuguaglianze sociali ed educative crescono e aggravano una situazione caratterizzata da grandi divari strutturali – ha commentato Marco Rossi-Doria, vicepresidente di Con i Bambini -. La povertà educativa, come evidenzia il report, ha spesso origine in queste disparità, non solo economiche, ma sociali e culturali. È un fenomeno che non può riguardare solo la scuola o le singole famiglie, ma chiama in causa l’intera ‘comunità educante’ perché riguarda il futuro del Paese. In questa fase di grandi difficoltà, i ragazzi dovrebbero rappresentare il fulcro di qualsiasi ripartenza. Non dovremmo criminalizzarli, come spesso accade, per alcuni comportamenti devianti o relegarli ad un ruolo passivo. Credo fortemente che siano una generazione migliore, hanno dimostrato grande senso di responsabilità, dovrebbero partecipare attivamente alle scelte che incidono sul futuro loro e, di conseguenza, del Paese”.