Occupazione: crescita ok, ma serve qualificazione
A sostenerlo è il docente di Economia all’Università Tor Vergata di Roma, che insieme ad altri 170 firmatari della società civile ha suggerito alla politica una agenda
Gli ultimi dati appena sfornati dall’Istat sul lavoro in Italia sono una boccata d’ossigeno. A giugno, il tasso di occupazione è salito al 60,1%, vale a dire +0,2 punti rispetto al mese precedente. Crescono in particolare i dipendenti permanenti e nella fascia d’età sotto i 35 anni. Non buttare questi frutti sarebbe già tanto, dopo due anni di crisi causata dalla pandemia. Ma in prospettiva ci sono le elezioni politiche e la necessità di continuare sulla strada della riforma della formazione professionale. A sostenerlo è Leonardo Becchetti, docente di Economia all’Università Tor Vergata di Roma, che insieme ad altri 170 firmatari della società civile ha suggerito alla politica, in questi giorni preoccupata dalle alleanze, una agenda. In cima alle priorità per il prossimo governo secondo il docente c’è l’indipendenza energetica da conquistare con le fonti alternative alle fossili.
Professore, l’occupazione, specie quella stabile, cresce in Italia. Addirittura una condizione così non la vedevamo dal 1977.
Vanno soprattutto nella direzione giusta i tre indicatori: occupazione, disoccupazione e inattivi.Alcune volte abbiamo una discordanza mentre stavolta abbiamo meno inattivi e disoccupati e più occupati. È una indicazione molto importante che corrisponde alla condizione positiva del Pil del secondo trimestre trainato dai nostri distretti, dall’esportazione del Made in Italy e dalla domanda interna. La stessa Unione europea ci dice che la vitalità del settore edilizio è stata importante. La misura del 110 con tutti i suoi limiti ha dato impulso a un settore che fa muovere l’economia.
Dai dati dell’Istat pare che sia cresciuta l’occupazione soprattutto fra gli under 35.
Questo è significativo. La crisi provocata dal Covid-19 si è abbattuta specie sulle categorie più deboli dei giovani e del lavoro femminile. La ripartenza dell’occupazione giovanile è un bel segnale, vuol dire che le imprese investono sul futuro.
Le differenze di genere ancora esistono però.
Nel Paese esistono dei divari di genere sul piano salariale e comunque le traiettorie di vita diverse di donne e uomini incidono sul mercato del lavoro in maniera importante.
Da settembre che interventi servono per l’Italia nel mondo del lavoro per salvaguardare il risultato raggiunto?
Visto che l’inflazione che sta colpendo il potere d’acquisto degli italiani viene dai prezzi dell’energia bisogna conquistare l’indipendenza energetica perciò ridurre la dipendenza dalle fonti fossili. Oggi abbiamo tutte le possibilità tecnologiche per farlo. È un peccato che dipendiamo ancora da fonti di produzione che non dipendono da noi ma da altri Paesi. Le imprese che sono autoproduttrici di energie da fonti rinnovabili hanno già oggi costi più bassi e sono più competitive. Il governo dovrebbe stimolare la transizione che porta vantaggi ad aziende e cittadini. Penso ad esempio alle comunità energetiche e all’inflazione. Per questo abbiamo lanciato un appello sottoscritto da 150 organizzazioni per sbloccare i decreti attuativi sulle comunità energetiche e un appello, firmato da oltre 170 persone per una agenda della società civile. Abbiamo una idea di quello che farebbe bene al Paese e vogliamo che i politici sostengano questa direzione. I cittadini non sono solo un parco buoi da conquistare.
La campagna elettorale si dovrà giocare soprattutto su lavoro e energia.
Sul lavoro, va risolto il tema del “mismatch” fra i giovani che non lavorano e i posti vacanti. È importante la riforma che ha fatto il governo sulla formazione professionale, ma bisogna rendere più veloce possibile la capacità di lavoratori e studenti di orientarsi verso le nuove competenze. La riqualificazione e la formazione saranno punti centrali. I risultati di questi giorni dimostrano che il governo Draghi era un buon equilibrio fra attenzione dei temi sociali e capacità di gestire bene la crescita e il debito. Purtroppo questo equilibrio si è rotto e non credo che questo sia un vantaggio per il Paese.
Il prossimo governo dovrà cercare di non buttare all’aria quello che è stato fatto.
Sì, ma con più decisione sul fronte energetico. Per questo come società civile abbiamo scritto l’agenda per riportare l’attenzione su questi temi.
Il capitolo crisi alimentare non ci sfiorerà?
Abbiamo grano prodotto in Italia o importato dal Canada. L’economia italiana è stata colpita più dal Covid che dalla guerra.