Migranti, accordo che calpesta il diritto d'asilo
Molte le critiche alla collaborazione annunciata dalla premier Meloni tra Italia e Albania per la costruzione nel Paese delle Aquile di due centri per il rimpatrio
Il Primo ministro Giorgia Meloni ha comunicato nei giorni scorsi di avere concluso con il premier albanese Edi Rama un Memorandum d’intesa, che prevede – la realizzazione in Albania di due centri per il rimpatrio, che dovrebbero ospitare ogni mese persone migranti definite “irregolari”, ma solo se soccorse nel Mediterraneo da navi militari italiane, come quelle della Marina Militare e della Guardia di Finanza.
Più precisamente, “l’Albania darà possibilità all’Italia di utilizzare alcune aree del territorio albanese dove l’Italia potrà realizzare, a proprie spese, due strutture dove allestire centri per la gestione di migranti illegali. Inizialmente potrà accogliere fino a 3mila persone che rimarranno il tempo necessario per espletare le procedure delle domande di asilo ed eventualmente rimpatrio”. I naufraghi saranno sbarcati a Shengjin e l’Italia si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione e realizzerà un “centro di prima accoglienza e screening” a Gjader, che di fatto sarà una “struttura modello Cpr” per le successive procedure. I due centri dovrebbero servire per processare in 28-30 giorni le richieste di asilo e per detenere coloro che si vedranno respinta la richiesta di protezione, in vista del rimpatrio nei paesi di origine. Come ha annunciato Giorgia Meloni “dei due centri, quello al porto si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione con una prima attività di screening mentre il centro che verrà realizzato nell’area più interna sarà una struttura modello Cpr”. Secondo quanto dichiarato dalla premier in un anno si penserebbe addirittura di fare transitare in queste nuove strutture detentive, che dovrebbero essere sotto giurisdizione italiana, ma con “sorveglianza esterna” affidata alle autorità albanesi, circa 36mila persone. Nulla è stato comunicato sulle modalità di rimpatrio e sulle autorità che saranno incaricate di eseguire gli accompagnamenti forzati, nè su come avverranno i trasferimenti sotto scorta dai punti di sbarco in Albania ai centri di detenzione “sotto giurisdizione italiana”.
L'accordo, però, ha sollevato parecchi critiche. Lo si legge su www.redattoresociale.it che riporta il pensiero di Medici senza frontiere e del Centro Astalli di Roma. Il patto siglato tra Italia e Albania si spinge un passo oltre gli accordi di esternalizzazione che il governo italiano o le istituzioni europee hanno firmato negli ultimi anni con Turchia, Libia e Tunisia, sostiene Medici Senza Frontiere (MSF). L’obiettivo non è più solo quello di scoraggiare le partenze, ma di impedire attivamente alle persone in fuga e a chi viene soccorso in mare di accedere in modo rapido e sicuro al territorio europeo, aggirando così gli obblighi di protezione e soccorso sanciti dal diritto internazionale e dalle Convenzioni europee. Il mancato accesso al suolo italiano, la gestione extraterritoriale delle domande di asilo, l’applicazione delle procedure accelerate di frontiera e il trattenimento delle persone in un paese terzo, rappresentano un nuovo attacco sferrato al diritto di asilo, così com’è inteso oggi.
Queste iniziative non fanno altro che replicare politiche di contenimento e dissuasione che si sono dimostrate prive di efficacia nel lungo periodo, ma capaci di aumentare la sofferenza e la disperazione di migliaia di persone. I precedenti tentativi di sperimentare soluzioni extraterritoriali si sono rivelati tutti fallimentari. In particolare, MSF ha già osservato in modo diretto le conseguenze delle politiche di trattenimento extraterritoriale attuate per un lungo periodo dal governo australiano: tra il 2017 e il 2018, i team di MSF hanno offerto oltre 1.500 consultazioni psicologiche a rifugiati e richiedenti asilo trasferiti forzatamente sull’isola di Nauru, riscontrando un grave livello di sofferenza mentale.
Di fronte a una simile proposta avanzata nel 2022 dal governo del Regno Unito in accordo con il Ruanda, e poi definita illegittima dalla Corte d’Appello, MSF si era dichiarata “disgustata, sconfortata e preoccupata dalla determinazione punitiva e nociva” che aveva mosso le autorità britanniche. In attesa di conoscere nei dettagli i contenuti dell’accordo siglato dall’Italia, MSF è preoccupata per le complessità logistiche e organizzative connesse al trasferimento dei sopravvissuti in mare verso l’Albania. Nello specifico, il complicato processo di identificazione e successiva presa in carico di persone con complicazioni mediche e fragilità specifiche rischia di essere nei fatti impossibile o comunque non adeguato alle necessità. Inoltre, l’assegnazione automatica di un porto distante anche alle navi di Guardia costiera e Marina militare, come già nella prassi per le navi delle ONG, comporterà ulteriori restrizioni alla capacità di intervento in mare e rischi per la salute fisica e mentale delle persone a bordo. MSF sollecita nuovamente le autorità italiane ed europee a concentrarsi su soluzioni più umane e coraggiose per ridurre le morti in mare e offrire accoglienza dignitosa e solidarietà a coloro che cercano protezione in Europa.
"L’accordo negoziato tra l’Italia e l’Albania in materia di gestione dei flussi migratori significa anche per il Centro Astalli calpestare ancora una volta il diritto di asilo". Lo sottolinea in una nota il Centro Astalli. Per il presidente padre Camillo Ripamonti “il protocollo d’intesa firmato con l’Albania, per trasferire sul suo territorio i migranti salvati in mare dalle navi dei corpi dello Stato italiano, rappresenta l’ennesimo tassello di un programma volto a punire le persone migranti, piuttosto che aprire con realismo e visione a un futuro condiviso che in questo tempo sarebbe quanto mai necessario. Le migrazioni sono un fenomeno strutturale da governare con lungimiranza, adottando soluzioni politiche frutto di una gestione coordinata a livello europeo e rispettosa del diritto internazionale e del diritto comunitario. Ancora una volta le persone migranti vengono equiparate a merci; individui irregolari da cui difendersi, senza che mai assurgano alla dignità di persone. In che modo, infatti, “deportare” dei naufraghi salvati in mare in appositi centri di detenzione, di dimensioni – fino a 3.000 persone – impossibili da gestire nel rispetto dei diritti, collocati in un altro Stato, trattato solo apparentemente come partner, sarebbe una risposta umanitaria alle tragedie del mare o ai flussi migratori? Occorre rimettere al centro la dignità e i diritti di ogni essere umano. Occorre promuovere un approccio comune e corresponsabile al governo dei flussi migratori, moltiplicando gli sforzi per combattere le reti criminali dei trafficanti e impegnarsi ad ampliare e a realizzare vie sicure di ingresso. Occorre garantire dignità e sicurezza a chi è in cerca di protezione”.