Le onde gravitazionali? Il respiro dell'universo
L’astrofisico Roberto Pesce cita Sagan: “Il nostro pianeta è solo ‘un pallido puntino azzurro’ nell’universo ma lo stiamo devastando”
Con l'aiuto del prof. Roberto Pesce approfondiamo l’esplorazione dello Spazio e i misteri dell’Universo. Dopo la contemplazione del Cosmo e della volta celeste, dalle foto pervenute dall‘Ultima Thule’ alle ipotesi di vita altrove, la scoperta di Sagittaris A – il buco nero della nostra galassia- e il viaggio immaginifico al centro della Terra per capire i misteri dei movimenti rotatori interni, oggi è la volta delle onde gravitazionali come causa di quello che è stato definito “il respiro dell’Universo”. Dobbiamo ad una intuizione di Einstein (nel 1916) l’esistenza delle onde gravitazionali ma solo recentemente – esattamente nel settembre 2015 – venivano rilevate come risultato della collisione di due buchi neri. Esse sono state definite la più importante scoperta del secolo. Per quale motivo? In che cosa consistono? Esistono onde gravitazionali ad alta frequenza e a bassa frequenza. Ce ne vuole parlare?
Cercherò di fare una sintesi sul concetto di onda gravitazionale, sperando di essere comprensibile anche a chi non ha conoscenze in materia. Nel 1916 Albert Einstein pubblica la sua teoria della relatività generale, che tratta in sostanza della forza di gravità e della sua interazione con la struttura spazio-temporale dell’Universo. Cuore di questa teoria sono dieci equazioni, dette “equazioni di campo”, che fanno ricorso a modelli e strumenti matematici molto complessi. Come tutte le equazioni “complicate”, anche quelle di Einstein sono estremamente difficili da risolvere e molte soluzioni sono ottenibili solo grazie a semplificazioni e approssimazioni. È appunto utilizzando alcune approssimazioni che si può trovare che tra le possibili soluzioni delle equazioni di Einstein ce ne sono alcune di tipo ondulatorio, ovvero delle perturbazioni che attraversano la struttura spazio-temporale del cosmo e la fanno oscillare attorno ad una posizione di equilibrio. In pratica, al passaggio di un’onda gravitazionale, la distanza tra due oggetti oscilla tra un valore minimo e un valore massimo. Ovviamente questo effetto è estremamente piccolo ed è impossibile accorgersene senza la opportuna strumentazione. Attenzione a non confondere le onde gravitazionali con quelle sismiche. Nel secondo caso le oscillazioni sono molto più evidenti ed è la terra a vibrare e a far vibrare gli oggetti posati su di essa; nel caso di onda gravitazionale è proprio lo spazio-tempo stesso a oscillare. Pochi decenni prima di Einstein, intorno al 1860, James Clerk Maxwell, aveva sintetizzato in quattro equazioni le proprietà dei campi elettrici e magnetici, e anche in quel caso si era trovato che tali equazioni prevedevano delle soluzioni “oscillanti”, chiamate onde elettromagnetiche, che in pratica descrivono tutta la radiazione elettromagnetica che ci circonda, dalla luce visibile alle onde radio ai raggi X. La scoperta sperimentale delle onde elettromagnetiche risale al 1888 da parte di Heinrich Hertz e nel 1895 Marconi e Roentgen rispettivamente inventarono la radio e la macchina per produrre raggi X. Già nel 1893 Oliver Heaviside e nel 1905 Henri Poincaré avevano immaginato l’esistenza di un analogo gravitazionale delle onde elettromagnetiche, senza partire da una teoria fisico-matematica adeguata, ma soltanto perché in questo modo la descrizione delle forze elettromagnetiche e di quelle gravitazionali sarebbe stata somigliante in tutto e per tutto. Quando dieci anni dopo Einstein costruisce una teoria con cui si può prevedere l’esistenza delle onde gravitazionali in un certo senso molti intravedono un’allettante possibilità di confermare questa idea. Il problema è che, a differenza delle onde elettromagnetiche, il segnale di un’onda gravitazionale è estremamente debole e pertanto difficilissimo da rivelare, impossibile con i mezzi dell’epoca. Infatti la loro scoperta diretta risale a fine 2015 (con annuncio pubblico a inizio 2016), cent’anni dopo la pubblicazione della teoria della relatività. Le prime onde che sono state osservate sono state create dall'urto di due buchi neri massicci (con masse pari a 29 e 36 masse solari), un evento raro e catastrofico. Precedentemente a questa scoperta, c’erano state solo degli indizi indiretti sull’esistenza delle onde gravitazionali, grazie alle osservazioni delle pulsar, stelle di neutroni dotate di un forte campo magnetico, con emissioni nelle onde radio. Si tratta quindi di una scoperta molto importante che permette di chiudere il cerchio aperto da Einstein e fornisce delle conferme sulle teorie fisiche fondamentali, aprendo al tempo stesso nuovi orizzonti di ricerca. Per capire cosa succede quando si produce un’onda gravitazionale, pensiamo al classico sassolino gettato nello stagno, vediamo l’acqua che si solleva e si abbassa, formando tanti cerchi concentrici che si espandono. La fusione dei due buchi neri è il nostro sassolino; lo stagno invece è lo spazio-tempo. Per produrre delle increspature osservabili a milioni di anni luce di distanza, servono appunto eventi “apocalittici” per generare un segnale rilevabile. Infatti per poter captare le oscillazioni dello spazio-tempo servono apparecchi molto sensibili collocati in modo opportuno per schermare tutte le possibili fonti di “rumore” che potrebbero cancellare il segnale (bastano banalmente le vibrazioni di un treno che passa). Fisicamente, le onde sono descritti da due parametri molto importanti: la frequenza, ovvero quante volte al secondo si produce la perturbazione (pensando allo stagno, quante volte sale e scende l’acqua in un punto ogni secondo) e la lunghezza d’onda, ovvero la distanza tra due punti in cui contemporaneamente la perturbazione è al massimo o al minimo. Il prodotto della frequenza per la lunghezza d’onda restituisce la velocità di propagazione dell’onda. Nel caso delle onde gravitazionali, come per quelle elettromagnetiche, si ottiene la velocità della luce, ovvero trecentomila km al secondo. Pertanto onde ad alta frequenza hanno una piccola lunghezza d’onda e viceversa. Nel caso delle onde elettromagnetiche, ovvero della luce che vediamo, ogni lunghezza d’onda corrisponde a un colore diverso; per le onde sonore corrisponde a una nota diversa. Per le onde gravitazionali il discorso è più complicato. Mentre le cosiddette "alte frequenze”, ovvero oscillazioni che avvengono al ritmo di qualche decina o centinaia di volte al secondo, sono originate da eventi come esplosioni stellari o fusione di buchi neri con piccola massa, la fusione di buchi neri supermassicci (ovvero con una massa pari a milioni di masse solari) darebbe origine a onde gravitazionali di frequenza molto più bassa. Tanto per avere un’idea dell’ordine di grandezza, possiamo immaginare che per compiere un ciclo completo occorra circa un miliardo di secondi, ovvero un periodo di tempo pari a quasi 32 anni. In pratica la frequenza di oscillazione delle onde diminuisce con l’aumentare della massa coinvolta. Potrebbero anche esistere onde con frequenza “molto alta”, dell’ordine di decine di migliaia di volte al secondo, che segnalerebbero la presenza di fenomeni molto particolari, che metterebbero in campo particelle teorizzate ma non ancora osservate. La ricerca sta iniziando a muovere i primi passi anche in questa direzione.
Il professor Barry Clark Barish, docente emerito al California Institute of Technology (Caltech) e premio Nobel per la Fisica nel 2017 in una intervista rilasciata nel 2020 in occasione del Festival della Scienza di Genova, riferendosi alle onde gravitazionali ad alta frequenza, aveva affermato che “La scoperta dimostra un'importante previsione della teoria della gravitazione di Einstein e cioè l'esistenza delle onde gravitazionali. Aspetto ancora più importante, apre a un nuovo tipo di scienza. Sarà possibile innanzitutto testare in modo dettagliato la teoria della relatività generale formulata da Einstein, confrontandola con le proposte avanzate da altri scienziati. Sebbene infatti sia stato Einstein a elaborare la teoria, esistono teorie alternative che non coinvolgono la fisica quantistica. Queste implicano differenze tecniche che si traducono in differenti osservazioni, incluse teorie vettoriali, teorie scalari e la cosiddetta costante cosmologica. La loro verifica comporta misurazioni dettagliate e il confronto con i dati o forme d’onda delle onde gravitazionali. Un obiettivo più lontano è la speranza di sviluppare una teoria quantistica della gravità. Ciò potrebbe unificare la fisica quantistica e la relatività generale. La fisica quantistica spiega i fenomeni a distanze molto brevi, come la fisica al Cern, mentre la relatività generale spiega la fisica a lunghe distanze, come Ligo. In una prospettiva più ampia, si colloca la speranza di sviluppare una teoria unificata”. Secondo lei in che misura può essere realistica questa ipotesi di sviluppare una teoria unificata tra fisica quantistica e relatività generale?
L’unificazione tra fisica quantistica e relatività generale è da quasi un centinaio di anni uno dei problemi più importanti ancora irrisolti della fisica teorica. Attualmente abbiamo due teorie che sono verosimilmente confermate: la relatività generale, che descrive il campo gravitazionale e l’evoluzione dell’universo su larga scala, e la teoria quantistica dei campi, nata dall’unione della meccanica quantistica con la versione ristretta della teoria della relatività, che descrive il comportamento delle particelle subatomiche e delle interazioni elettromagnetiche e nucleari. Purtroppo queste due teorie non si legano bene insieme per diversi motivi che sono molto tecnici da spiegare. Il punto dolente è proprio quello dell’interazione gravitazionale, che è “diversa” dalle altre tre forze fondamentali (ovvero le interazioni elettromagnetica, nucleare forte e nucleare debole) e non è ancora ben inserita all’interno di una cosiddetta "teoria di campo” a livello subatomico. Le varie interpretazioni a livello epistemologico della gravità hanno dato vita nel corso degli anni a discussioni molto animate all’interno della comunità dei fisici, al punto che, negli anni ‘70, Richard Feynman, uno dei più grandi fisici di tutti i tempi, disse alla moglie di ricordargli di non partecipare ad altre conferenze sulla gravità. Attualmente i due filoni antagonisti principali nelle teorie di gravità quantistica, che tentano di unificare la meccanica quantistica alla relatività generale, sono la teoria delle stringhe e la gravità quantistica a loop. Non provo neppure a spiegarvi i principi e le profonde differenze tra queste due teorie, né esprimo pubblicamente la mia preferenza. Per avere un’idea introduttiva più avanzata su questo problema suggerisco la, non banale, lettura del libro divulgativo di Anthony Zee “Gravità. Trattazione leggera di un soggetto pesante” edito da Bollati Boringhieri.
Come si inserisce la scoperta delle onde gravitazionali, ad alta e bassa frequenza, in questo quadro? È ancora presto per dirlo, ma queste osservazioni, una volta che se ne avranno in numero consistente e saranno state analizzate per bene, costituiranno un tassello fondamentale per comprendere la natura della gravità e magari individuare quale versante devono considerare le teorie di gravità quantistica. Un punto estremamente interessante da chiarire è l’esistenza o meno del cosiddetto gravitone, ovvero l’ipotetica particella elementare controparte delle onde gravitazionali, cioè la particella che trasmetterebbe la forza di gravità (analogo al fotone che trasmette la forza elettromagnetica e alle particelle mediatrici delle forze nucleari).
Il nome di Albert Einstein e la sua teoria della relatività ricorrono in tutti gli studi che riguardano l’Universo: in particolare con insistenza negli approfondimenti sui buchi neri e i buchi bianchi (che in realtà Carlo Rovelli definisce materia specifica della fisica quantistica). Possiamo aprire una parentesi per argomentare intorno alla smisurata grandezza di questo scienziato e all’importanza della teoria della relatività applicata allo studio dello Spazio? Mi viene in mente ciò che mi disse Rita Levi Montalcini nel corso di un’intervista: “la scienza è fondamentale per il progresso ma non dobbiamo dimenticare che essa è il risultato dell’immaginazione”. Che poi riflette un celebre aforisma di Einstein stesso: “La fantasia è più importante della conoscenza”. Prof. Pesce, tutto nasce dunque da un atto di “intuizione”?
Indubbiamente la figura di Einstein è leggendaria. Su di lui sono stati e saranno scritti molti libri, non solo sulle sue teorie, ma anche sulla sua figura umana. Vi consiglio tra i tanti “Albert Einstein. Il costruttore di universi” di Vincenzo Barone, edito da Laterza. Dovendo essere sintetici, si può dire che le sue idee più geniali sembrano proprio nascere da pensieri quasi istantanei, dalla ricerca di risposte a domande apparentemente “strane”. Per esempio la teoria della relatività ristretta del 1905 sembra essere scaturita, almeno in parte, dalla domanda “Cosa accadrebbe se potessi cavalcare un raggio luminoso?” a cui lo scienziato pensò quando era solo sedicenne, cioè nel 1895. La teoria della relatività generale, che estende quella ristretta al campo gravitazionale, ruota intorno al cosiddetto “principio di equivalenza” a cui Einstein arrivò pensando a quello che accadrebbe nello spazio privo di gravità e nella cabina di un ascensore in caduta libera. È tutta una questione di intuizione? Né sì né no. Sicuramente l’intuizione è un aspetto fondamentale per la costruzione di una nuova teoria scientifica, ne può dare lo spunto iniziale, può far “chiudere il cerchio” oppure può fornire un modo di risolvere un ostacolo. Ma ci deve essere sempre una profonda conoscenza di tutto quello che è il sapere disponibile al momento sul fenomeno che si sta studiando. Probabilmente sarà capitato a tutti nello svolgimento di qualche problema di matematica o fisica per la scuola: ci rompiamo la testa per una buona mezz’ora, poi lasciamo perdere. Ecco che mentre siamo impegnati a fare qualcos’altro ci viene in mente la soluzione. All’università mi è capitato molte volte; ovviamente bisogna aver studiato prima la teoria perché altrimenti la soluzione degli esercizi non appare da sola nella nostra testa. Consideriamo ora la relatività speciale. Essa risolve un problema con cui i fisici si stavano picchiando da decenni e che si può riassumere così: secondo la fisica di Newton la velocità della luce dovrebbe essere diversa a seconda del riferimento considerato (per esempio la luce di un lampione fermo in stazione e quella di una lampadina del treno che si muove rispetto alla stazione), ma la teoria dell’elettromagnetismo di Maxwell prevedeva una velocità della luce indipendente dal sistema di riferimento. Si fecero vari esperimenti e si ipotizzò l’esistenza di una fantomatica sostanza chiamata etere, ma non se ne venne a capo finché Einstein non considerò la questione da un altro punto di vista, aiutato in parte dall’intuizione avuta da ragazzo. Il fisico tedesco non si basò solo sulla sua immaginazione, ma attinse anche alle teorie e ai risultati sperimentali di altri fisici, tra cui Lorentz, per dare una veste compiuta alle sue idee anche dal punto di vista matematico. Nel caso della relatività generale è sicuramente importante l’immagine dell’astronauta che fluttua senza peso nello spazio e della persona sulla Terra che fluttua nell’ascensore a cui si sono rotti i cavi di sostegno: entrambi percepiscono assenza di gravità e non riescono a distinguere le due situazioni (fino al momento dell’impatto dell’ascensore…). È un’intuizione geniale proprio perché semplice da capire, eppure a nessuno era venuta in mente prima. Tuttavia per costruire l’apparato matematico in grado di descrivere tutta la teoria e arrivare alle celebri equazioni che predicono, tra le altre cose, le onde gravitazionali, la formazione di buchi neri stellari e l’espansione dell’Universo, Einstein ha dovuto studiare moltissimo, anche con l’aiuto di altre persone, tra cui l’amico matematico Grossmann. Tra l’altro le due teorie della relatività vennero confermate sperimentalmente soltanto diversi anni dopo la loro pubblicazione. La relatività ristretta addirittura dopo la seconda guerra mondiale, grazie agli acceleratori di particelle, mentre la relatività generale era già stata confermata dall’osservazione di un’eclisse solare nel 1919 (per i particolari si può leggere il bellissimo “La guerra di Einstein” di Matthew Stanley, Newton Compton Editore). Queste teorie hanno permesso, tra le altre cose, di spiegare il comportamento delle particelle elementari assieme alla meccanica quantistica per quanto riguarda la teoria ristretta, mentre la teoria generale descrive la struttura dello spazio-tempo e l’evoluzione dell’universo. Per fare un esempio più vicino a noi, senza la relatività oggi non avremmo il GPS con tutte le sue applicazioni. Pertanto, anche se sicuramente non è una teoria perfetta (d’altronde non lo è stata neppure quella di Newton, la fisica procede per approssimazioni successive), l’importanza del lavoro di Einstein in questo senso è quindi estremamente importante.
Mentre le onde gravitazionali ad alta frequenza sono il risultato di un forte impatto che invia le onde dello scoppio che si propagano dopo l’evento, le onde gravitazionali a bassa frequenza hanno comportato decenni di studi approfonditi per la loro rilevazione: la notizia di questi giorni della loro scoperta riferisce di un dispiegamento di 13 radiotelescopi sparsi in tutto il mondo, puntati su 115 “pulsar” che sono i nuclei morti delle stelle esplose in una supernova. Alcuni ruotano centinaia di volte al secondo, facendo lampeggiare raggi di onde radio a intervalli estremamente regolari, come fari cosmici. Gli scienziati di tutto il mondo facenti parte del International Pulsar Timing Array, hanno misurato le differenze incredibilmente piccole nella tempistica degli impulsi, alla ricerca di segni rivelatori di onde gravitazionali. La teoria principale è che le onde provengano da coppie di buchi neri enormi che si trovano al centro di galassie che si stanno lentamente fondendo. Si ipotizza che le onde gravitazionali a bassa frequenza e definite “ultra-lunghe” siano una sorta di “ronzio” che si propaga in tutto lo Spazio Questo rumore di sottofondo viene eufemisticamente e in modo pittoresco definito “il respiro dell’Universo”. “Ora sappiamo che l’universo è inondato di onde gravitazionali”, ha detto ad Afp Michael Keith dell’European Pulsar Timing Array (Epta). Che importanza hanno queste increspature silenti che si muovono nell’Universo alla velocità della luce, per la comprensione dei complessi, giganteschi fenomeni che avvengono nell’incommensurabilità dello Spazio? Qualcuno ipotizza che siano un passo avanti importante per comprendere che cosa successe con il Big -Bang. E’plausibile?
Come già accennato prima, anche la teoria del Big-Bang, nasce dalle equazioni di Einstein a partire da determinate condizioni iniziali. A trovare che l’universo avrebbe dovuto essere in espansione fu per primo il russo Aleksandr Friedman nel 1922, ma morì poco dopo la sua scoperta; nel 1927 il sacerdote belga Georges Lemaitre riscoprì autonomamente le idee di Friedman, ma Einstein non gradì che dalla sua teoria si arrivasse a un universo in espansione e modificò le sue equazioni in modo da rendere le dimensioni del cosmo costanti nel tempo (quello fu un errore del grande scienziato, anche se oggi quelle equazioni modificate consentono di tenere conto della cosiddetta “energia oscura”, un altro dei rompicapi dei cosmologi di oggi). Nel 1929 Hubble osservò che le galassie più distanti si stavano tutte allontanando da noi, fatto certamente compatibile con l’idea di universo in espansione, ma spiegabile anche con altre teorie secondo le quali l’universo sarebbe sempre esistito e non cambierebbe le sue dimensioni. Solo nel 1964, quando Einstein era morto da 9 anni, la teoria del “Big Bang” venne quasi universalmente accettata con la scoperta della “radiazione” fossile da parte di Penzias e Wilson, un vero e proprio muro di onde elettromagnetiche (che oggi vediamo come microonde) nato a quattrocentomila anni dall’inizio dell’universo, non spiegabile attraverso altre teorie (per una spiegazione storico-divulgativa consiglio di leggere “Big Bang” di Simon Singh, Rizzoli).
Questo “muro di luce”, però, ci impedisce di “vedere” cosa è successo prima della sua creazione, anche potessimo disporre di telescopi infinitamente più potenti di quelli attuali. Per confermare le teorie sulle fasi iniziali dell’universo servono quindi altri tipi di segnali che non siano quelli elettromagnetici. Ma anche rimanendo più vicini, se vogliamo osservare alcune zone dell’universo non possiamo a causa delle polveri e nubi di gas che assorbono tutta la luce che proviene dagli oggetti celesti retrostanti. La radiazione elettromagnetica, purtroppo, viene assorbita; ma le onde gravitazionali riescono ad attraversare indenni o quasi la materia. La possibilità di captare questa sorta di “ronzio gravitazionale” è fondamentale per arrivare dove non possiamo con mezzi più tradizionali.
Tra parentesi, un’altra possibilità su cui gli scienziati stanno investigando è quella di osservare un ronzio analogo ma dovuto ai neutrini, ma di questo magari ne parliamo un’altra volta, sperando che anche su questo fronte arrivino delle novità. Uno dei nodi cruciali da chiarire è come si sono formate le galassie; osservando la radiazione fossile si riesce a capire che esse si sono create nei punti dove vediamo questa radiazione leggermente più calda rispetto alla media. Tuttavia dal punto di vista sperimentale non abbiamo altri indizi consistenti. Dal momento che al centro di ogni galassia pare esserci proprio un buco nero supermassiccio, osservare grazie alle onde gravitazionali delle fusioni tra oggetti di questo tipo può darci un grosso aiuto a perfezionare i modelli di formazione galattica, alcuni dei quali prevedono che le galassie più grandi si formino dalle fusioni di galassie più piccole.
Un altro problema aperto è quello di capire qualcosa di più sugli istanti iniziali dell’universo. Si pensa che inizialmente le quattro forze fondamentali (gravitazionale, elettromagnetica, nucleare debole e forte) fossero unite, ma appena dopo 10-43 secondi (0, seguito da 42 zeri e da 1) il cosiddetto “Big Bang” la gravità si sarebbe separata dalle altre interazioni. Grazie alla fisica delle particelle e agli esperimenti con gli acceleratori come il CERN di Ginevra, abbiamo riusciamo a capire abbastanza bene cosa è successo nei primi minuti di vita dell’universo ma solo a partire da circa 10-32 secondi dopo il Big Bang. Tra 10-43 e 10-32 secondi abbiamo solo qualche idea, ma agli istanti precedenti è buio completo su quanto fosse presente nell’universo appena nato. Una teoria corretta della gravità quantistica è assolutamente necessaria per colmare queste lacune e confermare o meno quello che già sappiamo. Quanto sia possibile andare indietro nel tempo ascoltando il “respiro dell’Universo” attualmente non si sa. Ma certamente dovrebbe migliorare la nostra conoscenza dell'evoluzione cosmica. Diamo tempo al tempo; credo che le sorprese non mancheranno.
Concludiamo questa intervista facendo ancora una volta riferimento alle parole del Premio Nobel Barish: “Viviamo tutti in una società moderna in cui la nostra vita quotidiana è modellata dalla scienza e dalla tecnologia. Ma come possiamo essere a pieno titolo esseri umani che vivono in questo mondo, se non abbiamo una comprensione certa del mondo in cui viviamo? Guardiamo la televisione, cuciniamo al microonde, ma come funzionano questi strumenti? Viaggiamo in aereo, ma questo mezzo come riesce a volare? O ancora, passiamo ore con i nostri cellulari, ma in che modo questi riescono a geolocalizzarci, a inviare messaggi o a far sentire le nostre voci? E c’è un aspetto ancora più importante: come esseri umani siamo curiosi e ci chiediamo come tutto inizi. Ci domandiamo cosa sia la vita, la coscienza. Ci chiediamo se ci sia vita altrove. Le meraviglie della natura, della vita, il nostro sapere, ma anche ciò che ci rimane ancora da esplorare, ci rendono esseri umani più ricchi”. Non le sembra Prof. Pesce che nei nostri stili di vita, nelle abitudini, nelle esperienze e nelle conoscenze della nostra vita quotidiana questi impliciti a cui fa riferimento il Fisico Prof. Barish siano quasi espunti dai nostri interessi prevalenti?
Necessariamente lo studio dell’Universo è materia di scienziati in possesso di uno straordinario know how professionale oltre che di dotazioni tecnologiche estremamente complesse e sofisticate. Pur tuttavia non le sembra che molta parte del nostro tempo sia speso occupandoci di una parte infinitesimamente piccola del grande Universo di cui facciamo parte e che sarebbe utile anche alla risoluzione dei nostri problemi alzare più spesso gli occhi verso il cielo per comprendere con maggiore umiltà che facciamo parte di un unico immenso mistero? Condivido in pieno le parole del prof. Barry Barish, Nobel nel 2017 per la scoperta delle onde gravitazionali e direttore del più grande “osservatorio” dedicato ad esse. Siamo schiavi della tecnologia, ma non abbiamo la minima idea di come funzioni. Lo osservo quotidianamente nel mio lavoro. Purtroppo questi dispositivi che abbiamo tra le mani quasi 24 ore al giorno ci fanno trovare spesso la pappa pronta e in molti casi spengono la curiosità ad andare oltre. Leggere un libro che non sia scolastico o legato alla propria professione è spesso visto come “da sfigati”, leggere un libro scientifico divulgativo lo è ancora di più. Come diceva l’astrofisico Carl Sagan, il nostro pianeta è solo “un pallido puntino azzurro” nell’immensità dell’universo eppure lo stiamo devastando con le guerre e l’inquinamento. Credo che osservare l’infinitamente grande (ma anche l’infinitamente piccolo, che poi è strettamente collegato) possa aiutarci ad acquisire la giusta dose di umiltà con cui dovremmo affrontare la vita. Concludo dando un consiglio, utile spero ai giovani, che in realtà non è mio, ma del grande Stephen Hawking: “Ricordatevi quindi di guardare in alto, verso le stelle, e non i vostri piedi. Cercate di capire quello che vedete e interrogatevi sulle ragioni per cui l'universo esiste. Siate curiosi. Per quanto difficile possa sembrare la vita, c'è sempre qualcosa che potrete fare con successo. L'importante è non arrendersi. Liberate la vostra immaginazione. Plasmate il futuro.”