Le comunità energetiche sono una spinta efficace
Di fronte a qualsiasi crisi, bisogna reagire, cercare di trasformarla in un’opportunità. Non è urgente solo la conversione etica ed ecologica dei nostri stili di vita individuali, ma occorre tornare alla prossimità e alla gratuità tipiche della vita di comunità. Da qui è partita la riflessione alla base del XVII Forum dell’Informazione cattolica per la custodia del Creato, promosso da Greenaccord onlus, a Bari dal 25 al 27 novembre, sul tema “Il ruolo delle comunità per una conversione ecologica inclusiva e generativa”. Ne parliamo con Alfonso Cauteruccio, presidente di Greenaccord.
Riprendendo il tema del XVII Forum dell’Informazione cattolica per la custodia del Creato, quale deve essere il ruolo delle comunità per una conversione ecologica inclusiva e generativa?
Anzitutto va recuperato il senso di comunità, partendo dalla considerazione che “nessuno si salva da solo”: condividiamo con tutte le creature il nostro passaggio sulla terra e condividiamo la casa comune, non ne esiste un’altra e l’unica che abbiamo va condivisa, curata e salvaguardata. Le crisi che stanno alternandosi con una continuità preoccupante – al momento viviamo quella bellica – devono diventare un’opportunità per crescere e portare l’umanità verso nuovi traguardi e soluzioni. Papa Francesco, nella Laudato si’, ci ricorda che occorre superare il ricorso ai combustibili fossili “gradualmente ma senza indugio”, ma tale richiamo è stato ascoltato dal sistema politico ed economico solo per il “gradualmente” dimenticando il senza indugio. Certamente le comunità energetiche rappresentano una spinta interessante ed efficace per operare questa transizione e accelerare la diffusione delle energie rinnovabili, le uniche in grado di garantirci futuro e di rispondere al grido della terra che ci richiama a tener in massima evidenza i cambiamenti climatici.
Quali sono i passi necessari per tornare alla prossimità e alla gratuità tipiche della vita di comunità?
L’incontro, l’ascolto e il dialogo operativo. Direi che sono questi i tre momenti che possono aiutare a far crescere o creare il senso di comunità. Anzitutto uscire dal proprio isolamento dorato ed esclusivo e incontrare e farsi incontrare dalle persone, in particolare coloro che ci sono vicini nella quotidianità. Rendersi disponibili è il primo passaggio indispensabile a favorire l’incontro che può essere, inizialmente, anche interessato. Il secondo passaggio è senza dubbio quello dell’ascolto e dello scambio reciproco. È la tappa più delicata e arricchente perché è quella più faticosa e richiede capacità che possono essere messe a dura prova da atteggiamenti di chiusura o di prevenzione. Dalla capacità di ascolto dipende il passaggio successivo: il dialogo operativo. Dialogare consapevoli che vanno rispettate idee diverse dalle nostre perché sono importanti per il nostro interlocutore. Dal dialogo, frutto di un ascolto attento e consapevole, nasce dunque la possibilità concreta di fare comunità sebbene partendo da un obiettivo ben preciso. Non è sufficiente il dialogo fine a se stesso se non diventa concretezza e operatività. La gratuità nasce spontaneamente allorquando c’è vera condivisione ed i motivi di interesse economico o di altro tipo passano in secondo piano per il valore dato dalla ricchezza delle persone che abbiamo incrociato e dalla validità dell’obiettivo da conseguire.
Durante il Forum avete parlato di “transizione energetica efficace e duratura che valorizza le comunità”: in che modo questo può avvenire?
Le comunità energetiche sono un esempio concreto di un gruppo eterogeneo di persone ed enti che decidono di unirsi per conseguire la finalità di produrre energia da fonti rinnovabili per abbattere i costi della bolletta e per conseguire un gruzzolo da poter destinare ad opere caritative e sociali. La transizione energetica avviene perché si passa concretamente alle energie rinnovabili e ciò rappresenta un impegno concreto per la cura della casa comune oltre ad essere un esempio per gli altri.
In particolar modo le parrocchie possono diventare centro aggregante che, oltre a produrre energia, si mette in gioco con le realtà circostanti creando fermento positivo.
Questo sistema valorizza le comunità perché in modo efficace e duraturo riesce a favorire relazioni, interessi comuni e un vantaggio economico. Se il legislatore sarà lungimirante, allorquando saranno emanati i decreti attuativi, si potrà pensare di costituire comunità di comunità energetiche, ossia interi quartieri – esempi ne esistono in Germania – potranno così interagire ed usufruire di un servizio utile e prezioso e quanto mai opportuno per avviare un percorso che in pochi anni può favorire l’abbandono dei fossili.
L’economia circolare in che modo può diventare una nuova frontiera della giustizia sociale?
L’economia circolare è quella che regola il ciclo della vita in natura: non vengono prodotti scarti e tutto si completa. È l’uomo ad aver creato l’economia lineare che, invece, produce scarti che creano problemi di vario tipo e che intaccano la bellezza dei luoghi del nostro vivere quotidiano. La linearità, che risponde al criterio del produrre, consumare e gettare, produce anche scarti umani perché chi non entra in tale circuito rimane ai margini.
L’economia circolare che nasce dalla valorizzazione della prossimità e del recupero dei materiali crea un sistema inclusivo e partecipativo che senza dubbio è una risposta concreta in termini di giustizia sociale.
Cosa produce passare dal turismo di massa a quello esperienziale nell’ottica di una conversione ecologica inclusiva e generativa?
Molti gustano le bellezze della natura così come si gusta un gelato, con una logica di consumo che non crea empatia e non è frutto di un rapporto armonico con il creato. Questo modo “acchiappino” di rapportarsi con la natura soddisfa i nostri bisogni primari ma non favorisce l’interiorizzazione di quanto viviamo perché bisogna fare in fretta e godere in poco tempo di tutto ciò che è possibile. È un turismo “fast”, veloce come i nostri ritmi di sempre. Occorre abbandonare la veste di turista e passare a quella di “viaggiatore” che ama assaporare le tipicità, trova il tempo di fermarsi con le persone, non ha fretta e predilige la qualità rispetto alla quantità. Solo così il viaggiare diventa un’esperienza unica capace di generare nuove relazioni e l’incontro con territori, persone, tradizioni, cibi e stili di vita diversi.
Il giornalismo ambientale gioca un ruolo in questo percorso?
Il narrare una modalità di approccio non invasivo e predatorio verso il Creato è senz’altro una grande opportunità e sfida per i giornalisti perché sono chiamati al discernimento di ciò che è realmente sostenibile e di ciò che viene incartato di verde ma che risponde a logiche di linearità e non di circolarità.
Il tema ambientale sta vivendo, perché le aziende hanno esigenza di accrescere la loro reputazione, una sovraesposizione pericolosa che va vagliata come il grano dalla pula. Ma ciò richiede preparazione, costanza voglia di ficcanasare e di portare alla ribalta ciò che è veramente valido e autenticamente amico della natura.
Quali input vengono al termine del Forum di Bari?
A gran voce è stato richiesto da tutti, compreso l’arcivescovo di Bari, che la politica dia il proprio contributo allo sviluppo delle comunità energetiche emanando i decreti attuativi che ne renderanno operative tantissime in tutto il territorio nazionale. Alle realtà ecclesiali, molte delle quali già incamminate su questo percorso, si chiede un impegno maggiore per portare nuovamente le chiese al centro dei villaggi diventando modello di realtà attente al Creato. A tutti viene richiesto di essere attenti ed oculati nel momento delle scelte quotidiane: dal cibo ai vestiti, dai detersivi ai viaggi, partendo dalla valorizzazione di tutto ciò che risponde al criterio di prossimità e di valorizzazione dei processi di circolarità. Infine, viaggiare lentamente affinché il viaggio diventi un’esperienza e non un semplice passaggio seppur interessante.