La fame aumenta sempre più
La fame, quella vera, cresce nel mondo. A dirlo è l’Indice globale della fame, uno dei principali rapporti internazionali sull’argomento, curato dalla Fondazione Cesvi per l’edizione italiana. L’analisi ha preso in considerazione 116 Paesi in cui è stato possibile calcolare il punteggio GHI sulla base di quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni.
Dopo decenni di declino, la denutrizione sta aumentando, soprattutto in Africa subsahariana e Asia meridionale: questo allontana sempre di più l’obiettivo “Fame Zero”, fissato dalle Nazioni Unite al 2030. Il mix letale di conflitti armati, pandemia e cambiamento climatico ha cancellato gli sforzi degli ultimi anni per arrestare la curva. Nel 2020, infatti, erano 155 milioni le persone in stato di insicurezza alimentare acuta, 20 milioni in più rispetto all’anno precedente.
Secondo questo studio, in 47 Paesi la fame è estremamente elevata. Tra i Paesi: Somalia, Ciad, Madagascar, Repubblica Centroafricana, Repubblica Democratica del Congo e Yemen, Burundi e Siria. Ci sono anche altri 37 Paesi in cui la fame risulta “grave”, tra cui Afghanistan, Haiti, India e Pakistan. Diventa sempre più urgente tentare di limitare i danni, ma anche sempre più difficile riuscire a farlo in tempo.
La principale causa è apportata alle guerre. “Conflitti e fame si rafforzano a vicenda – spiega Martina Maurizio, ministro per le Politiche agricole e vicedirettore generale della Fao –, dobbiamo affrontarli insieme per porre fine a questo circolo vizioso, attraverso interventi umanitari e progetti di sviluppo ben coordinati e complementari”.
È ancora presto, invece, per quantificare le conseguenze della pandemia sulla sicurezza alimentare nel mondo, ma in base alle previsioni della Fao, nel 2030 le persone denutrite saranno 657 milioni, circa 30 milioni in più. Le proiezioni delle Nazioni Unite, d’altro canto, dicono che ben 53 Paesi devono accelerare i progressi se vogliono portare i tassi di mortalità infantile al di sotto del 2,5%.
In questo scenario, la crisi pandemica non fa altro che aggravare la situazione.