L'immigrazione al tempo del Covid
Presentata la 30esima edizione del Rapporto Immigrazione di Caritas Migrantes "Verso un noi molto più grande". Grande attenzione agli effetti della pandemia sulle condizioni degli immigrati. Il Rapporto sarà presentato anche a Brescia il prossimo 18 novembre
La pandemia da Sars Cov 19ha prodotto una serie di effetti negativi in ampi ambiti della vita individuale e collettiva della popolazione mondiale. Nell’edizione che celebra i 30 anni della pubblicazione del “Rapporto Immigrazione”, realizzato da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes e presentato questa mattina (a Brescia sarà presentato il 18 novembre, ndr) , si analizza in particolare l’impatto che il virus e le misure adottate per il suo contenimento e per la ripresa delle attività economico-sociali hanno avuto sulle vite dei cittadini stranieri che vivono in Italia, in riferimento a importanti indicatori quali, fra gli altri, le tendenze demografiche e i movimenti migratori, la tenuta occupazionale, i percorsi scolastici dei minori e la tutela della salute. Il rapporto ha preso in esame anche altri aspetti sociali, forse meno eclatanti, ma che hanno subito contraccolpi altrettanto gravi, come la sfera religiosa ed emotiva individuale, lo scivolamento nel cono d’ombra di migliaia di persone che le misure di lockdownhanno reso più invisibili (ad esempio, le vittime di violenza e di sfruttamento), senza che questo silenzio fosse dissolto dall’interesse dei media.
lI rapporto si apre con un esame internazionale del fenomeno delle migrazioni, sulla scorta dei recenti dati pubblicati dal Dipartimento Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite stimano un calo del numero dei migranti in circa 2 milioni. In particolare, ad aver risentito delle limitazioni alla circolazione sarebbero state le migrazioni per lavoro e per motivi familiari, mentre quelle forzate, in particolari aree del Pianeta, non avrebbero registrato una diminuzione altrettanto significativa. Il numero di persone che vivono fuori dal proprio Paese di origine ha raggiunto nel 2020 la cifra record di 280,6 milioni (+8,4 milioni rispetto all’anno precedente) ovvero il 3,6% della popolazione mondiale. La maggior parte dei migranti internazionali proviene da Paesi a reddito medio, mentre solo il 13% da Paesi a reddito basso, anche se la quota di questi è aumentata significativamente negli ultimi 20 anni in concomitanza con la crescita delle crisi umanitarie che hanno interessato molte aree del pianeta. A livello continentale, l’Europa continua ad essere l’area più interessata dalla mobilità umana, con quasi 87 milioni di migranti, molti dei quali sono cittadini europei che si sono spostati all’interno dell’area Schengen.
Particolarmente interessante è la parte del rapporto che prende in considerazione la situazione italiana. La tendenza alla progressiva diminuzione della popolazione italiana, già evidenziata nelle precedenti edizioni del “Rapporto Immigrazione”, inizia a coinvolgere quest’anno anche la popolazione di origine straniera, che è passata dai 5.306.548 del 2020 agli attuali 5.035.643 (-5,1%). La diminuzione complessiva della popolazione in Italia è ancora più cospicua (-6,4%), attestandosi sui 59.257.600, che corrispondono a 987mila residenti in meno rispetto all’anno precedente. Anche i movimenti migratori hanno subito una drastica riduzione (-17,4%). In particolare, rispetto al confronto con gli stessi 8 mesi del quinquennio 2015-2019 si è registrata una flessione del -6% per i movimenti interni, tra Comuni, e del -42% e -12%, rispettivamente, per quelli da e per l’estero. Si comincia ad osservare, dunque, tramite gli indicatori demografici quello che nel rapporto è definito “effetto pandemia” che si è attestato in altri ambiti sociali. Si tratta di un effetto prodotto dalla combinazione di molti fattori, fra cui – in primis – le morti causate dal virus, che in Italia hanno toccato una delle cifre più alte in Europa e nel Mondo (128 mila in Italia a fine luglio 2021, su 4.095.924 morti totali, pari al 3,1% del totale mondiale).
Le prime 5 regioninelle quali si attesta la maggior presenza di cittadini stranieri sono, come lo scorso anno, la Lombardia (nella quale risiede il 22,9% della popolazione straniera in Italia) seguita da Lazio, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte. Quanto alle prime 10 province prevale su tutte Roma, in cui risiede il 10% dei cittadini stranieri in Italia, seguita da Milano (9,2%) e Torino (4,2%). L’incidenza della popolazione straniera sul totale si attesta sull’8,5%.
Quanto ai titolari di permesso di soggiorno ed i motivi, il Ministero dell’Interno riporta un totale di 3.696.697 cittadini stranieri, la maggior parte dei quali in possesso di permesso di soggiorno per motivi di famiglia (48,9% del totale, +9,1% rispetto al 2019), seguiti da quelli per lavoro (43,4% e +12,1% dal 2019). La terza tipologia continua ad essere rappresentata dai motivi di protezione internazionale (5,0%), comprese le forme di tutela speciale o ex umanitaria.
Il rapporto Caritas Migrante certifica, poi, che le limitazioni stabilite dalle misure governative per il contenimento della pandemia hanno prodotto effetti anche sulle attività di contrasto all’immigrazione irregolare: i provvedimenti in oggetto sono passati da oltre 40mila a circa 26.500 (-35,7%). Nel dettaglio, i respingimenti alla frontiera nel 2020 hanno riguardato 4.060 persone (la metà circa del 2019); le espulsioni sono state 22.869 e i trattenimenti nei Centri per il rimpatrio 4.387 (in calo del 30% circa dal 2019). L’emergenza sanitaria, con tutto quello che ha portato con sé, ha fatto sentire i suoi effetti anche sulla condizione occupazionale dei lavoratori stranieri già presenti in Italia che ha subito un forte contraccolpo, sia per la chiusura di molte attività lavorative in settori con un’importante incidenza di cittadini stranieri sia per la prosecuzione di altre, essenziali per il soddisfacimento di necessità primarie, e da svolgere necessariamente in presenza, che hanno comunque esposto i cittadini stranieri o al rischio di sfruttamento lavorativo o a quello di infezione da Covid-19. A questo si aggiunge la più alta probabilità dei cittadini stranieri di detenere tipologie contrattuali più precarie e dunque più legate al rischio del mancato rinnovo contrattuale. Ciò ha incentivato le disuguaglianze preesistenti, riducendo, come vedremo, l’efficacia degli interventi operati dal governo. Il tasso di disoccupazione dei cittadini stranieri (13,1%) è superiore a quello dei cittadini italiani (8,7%), mentre il tasso di occupazione degli stranieri (60,6%) si è ridotto più intensamente, tanto da risultare inferiore a quello degli autoctoni (62,8%). Le donne immigrate hanno sofferto la crisi molto di più dei loro omologhi di sesso maschile, con una riduzione del tasso di occupazione due volte maggiore. Più colpiti gli occupati in alberghi e ristoranti (25,2% degli Ue e 21,5% degli extra-Ue) e altri servizi collettivi e personali (27,6 % degli Ue e 25,2% degli extra-Ue).
I cittadini stranieri sono tra i gruppi sociali più esposti alla povertà, non solo economica ma anche educativa, relazionale e sanitaria. In tal senso, i dati della statistica ufficiale parlano chiaro: se negli anni di pre-pandemia la povertà assoluta nelle famiglie di soli stranieri si attestava al 24,4% (quasi un nucleo su quattro, secondo i parametri Istat, non arrivava a un livello di vita dignitoso), in tempi di Covid-19 il tutto è stato inevitabilmente esacerbato; oggi risulta povera in termini assoluti più di una famiglia su quattro (il 26,7%), a fronte di un’incidenza del 6% registrata tra le famiglie di soli italiani.
Per fronteggiare l’emergenza epidemiologica sono state introdotte, con il “Decreto Cura Italia” e successivamente prorogate con il “Decreto Rilancio”, il “Decreto Agosto” e il “Decreto Ristori” per tutto l’anno 2020 misure straordinarie di sostegno alle imprese in materia di trattamento ordinario di integrazione salariale, di assegno ordinario dei fondi di solidarietà, di cassa integrazione in deroga. Sono stati inoltre introdotti bonus destinati a categorie specifiche di lavoratori e di supporto alle famiglie (congedi e bonus baby-sitter). L’incidenza media dei cittadini extracomunitari su queste misure si attesta sul 9-10%, ad eccezione del bonus autonomi, dei congedi parentali e del bonus baby-sitter, in cui si ferma al 3-4%, a conferma della generale difficoltà nell’accesso alla presentazione della domanda da parte dell’avente diritto e la scarsa appetibilità di misure che possono essere difficili da sostenere in caso di salari già contenuti (come il congedo parentale).
Il “Rapporto Immigrazione”, poi, prende in considerazione molti altri aspetti, a partire da quello della presenza degli studenti stranieri nelle scuole italiana che, anche in questo 2021 conferma la prevalenza, negli ultimi quindici anni, della scuola primaria. Il dato più interessante è l’aumento progressivo della presenza negli istituti di scuola secondaria di secondo grado: un indicatore della spinta delle seconde generazioni e dell’aumento della frequenza degli studenti con cittadinanza non italiana.
Altro dato interessante preso in considerazione dal Rapporto è quello della tutela della salute dei cittadini stranieri durante la pandemia. Molti hanno sopportato un onere sproporzionato dagli interventi restrittivi non farmaceutici volti a prevenire la diffusione di Covid-19. Utilizzando, poi,i dati dell’Anagrafe Vaccinale Nazionale aggiornati al 27 giugno 2021 (dove è riportato il Paese di nascita e non la cittadinanza) lo studio mette in risalto una minore copertura vaccinale tra le persone nate all’estero rispetto a quelle nate in Italia (50% contro 60%). Tale diseguaglianza è ancor più marcata negli adolescenti e nei giovani adulti (12-29 anni di età), tra i quali la copertura è del 15% nei nati all’estero e del 28% nei nati in Italia, e permane nella fascia di età 30-49 anni (41% contro 49%).
La pandemia ha purtroppo acuito anche l’esposizione delle vittime di violenza e di sfruttamento, rendendole di fatto più invisibili e meno libere di potersi sottrarre alle aggressioni e ai condizionamenti. Le donne migranti rappresentano all’incirca la metà delle donne assistite nei centri antiviolenza ed un 55%-60% delle ospiti delle case rifugio.