Istituti minorili. Non ci sono ragazzi cattivi
Ragazzi abituati a non importare, esseri umani bestializzati dalle condizioni in cui vivono, scontando una pena che pare troppo spesso vendicativa più che rieducativa. Negli istituti penitenziari minorili (IPM) italiani i giovani muoiono, talvolta abbandonando realmente questo mondo, in altri casi muoiono metaforicamente, abbandonati dalle istituzioni, dalla cultura e dalle persone che lo avevano circondato in passato.
Domenico Cambareri, parroco in provincia di Bologna e cappellano dell’Istituto penale per minorenni del capoluogo, racconta nel suo libro “Ti sogno fuori. Lettere da un prete di galere” (edizioni San Paolo) la realtà degli IPM e di coloro che vi sono rinchiusi.
Il volume si articola in 12 lettere, da gennaio a dicembre, scritte dal cappellano a un giovane, “Y”, che, in seguito a una rissa, è stato trasferito dall’istituto penale di Bologna al carcere di Nisida a Napoli. “Tu hai il privilegio delle lacrime!” queste sono le parole che, un giorno, “Y” rivolse a Domenico Cambareri, perché mostrarsi fragili è un lusso che molti ragazzi non si possono permettere né all’interno né all’esterno dell’istituto. La rabbia è l’unico sentimento, comune a tutti, che possono manifestare, ma fino a dove può portare quest’ira? Cosa succede quando ne diventiamo schiavi? Queste sono solo alcune delle riflessioni proposte dal parroco nella lettera di gennaio.
Domenico Cambareri scrive col fine di lottare per chi esce dall’IPM, spesso solo per ritrovarsi ancora una volta abbandonato dalle istituzioni, per chi torna, perché le tentazioni all’esterno sono troppe, per chi resta, poiché bloccato dalla paura di ciò che potrebbe capitargli fuori, e per chi sparisce, allontanandosi da chiunque gli ricordi la sofferenza provata in carcere e fuori. “Y” era solo un ragazzino quando ha iniziato a spacciare per aiutare la madre e la sorella dopo la fuga del padre, un uomo violento che ha gettato tutti i risparmi della famiglia giocando d’azzardo. Le persone come “Y” sono troppe, costrette a crescere troppo in fretta e poi dimenticate, erano come lui anche i ragazzi fuggiti dal Beccaria di Milano, per lo più trovati a casa dei genitori per salutare le madri o dalla nonna per un pasto caldo. La società li allontana e questo testo è un invito a riconoscere la loro umanità, ad aiutarli, a non abbandonarli a loro stessi o alla strada.
Come sovente ripete don Claudio Burgio, caro amico di Domenico Cambareri, “non ci sono ragazzi cattivi”.