Ilva, preoccupazione per l'intero Paese
La notizia che il colosso Arcelor Mittal intende recedere dal contratto di affitto dell'Ilva di Taranto, per le ripercussioni che rischia di portare con se, fa discutere l'intero Paese. Le considerazioni di Giuseppe Pasini, presidente Aib, e dell'arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro
La notizia che il colosso indiano Arcelor Mittal intende recedere dal contratto di affitto per l’Ilva di Taranto fa discutere anche a Brescia. È forte infatti il timore di possibili ripercussioni anche sul piano locale di questa scelta annunciata ieri. Tra i primi a manifestare preoccupazione e disappunto è stato Giuseppe Pasini, in queste ore in Terra Santa con il Vescovo e il sindaco Del Bono.
“Una certa politica voleva la chiusura dello stabilimento ed ha raggiunto il suo obiettivo. L’addio di Arcelor Mittal è un fallimento per l’intero Paese, la seconda manifattura d’Europa, che ha lasciato scappare un investitore mondiale, a testimonianza dell’assenza in Italia di una vera politica industriale – è il commento che Pasini ha affidato a un comunicato stampa–. Quale altra realtà imprenditoriale, oggi, può pensare di rilevare l’impianto? Le ripercussioni saranno enormi. Aumenteranno le tonnellate di acciaio importato dall’estero, e tutta la filiera ne subirà le conseguenze, che saranno importanti anche per una realtà come Brescia. L’impatto occupazionale, poi, sarà tremendo: parliamo di quasi 11mila dipendenti, se consideriamo solo quelli diretti. Non è certamente ipotizzabile sostituire un’area industriale del genere con un parco giochi”.
Secondo stime elaborate da Svimez, dal sequestro dello stabilimento (luglio 2012) a oggi sarebbero andati perduti 23 miliardi di euro (3-4 miliardi all’anno), circa due decimi di punto della ricchezza nazionale. Complessivamente si tratta dell’1,4% circa di PIL cumulato. Di tali 23 miliardi complessivamente erosi, 7,3 ricadrebbero sul cosiddetto “nord industriale” (Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emila Romagna). La crisi dell’Ilva ha poi determinato, fra il 2013 e il 2019, minor export italiano per 10,4 miliardi e minori consumi delle famiglie per 3,5 miliardi.
Non meno preoccupate, anche se con taglio diverso, sono le parole di mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace
“Leggo con non poca preoccupazione – scrive in una nota riportata integralmente di seguito - le ultime notizie relative al comunicato di Arcelor Mittal in merito allo stabilimento tarantino. Non ne sono sorpreso, c’erano stati già segnali che avrebbero dovuto essere colti e non lo sono stati. Taranto è una città che soffre per la mancanza di opportunità per i giovani che continuano ad andare via per realizzare le proprie aspirazioni, non possiamo permetterci di sacrificare altri posti di lavoro. I toni perentori poco si addicono al rapporto tra le parti che dovrebbe essere invece caratterizzato da buon senso e responsabilità. Non si possono chiedere “le mani libere” quando in gioco ci sono la salute e il futuro di tante persone, di un’intera città e della sua provincia. Abbiamo già subito con la precedente proprietà i frutti amari e velenosi di uno sviluppo legato esclusivamente al profitto. Certo, cambiare le condizioni in corso d’opera ha dato ad AM il pretesto per rimettere in discussione l’accordo che con così tanta fatica era stato sottoscritto dalle parti.Tutta la vicenda è stata gestita con approssimazione e demagogia: parliamo dell’acciaieria più grande d’Europa, avremmo avuto bisogno di lungimiranza e senso di responsabilità.
Altresì leggo strumentalizzazioni politiche che non favoriscono la comprensione di un problema complesso: è stata la Magistratura ad adottare i provvedimenti di sequestro degli impianti non a norma e il provvedimento che abolirebbe lo “scudo penale” presente nel Decreto salva imprese è al vaglio della Corte Costituzionale perché sempre la Magistratura ne ha richiesto il giudizio di legittimità. Sono invece molto preoccupato per quello che potrebbe accadere, rischiamo che all’emergenza ambientale, tuttora ben lontana dall’essere risolta, si aggiunga quella sociale. Non c’è nessuna parte politica che possa dirsi “innocente”, non saremmo arrivati a tanto.
Fino ad ora ci si è adoperati per trovare soluzioni per ex Ilva, ora è il momento di trovare soluzioni per Taranto e per i suoi cittadini, per i lavoratori. La città è smarrita, sfiniti sono i lavoratori vittime di volta in volta di chi li ha additati come “collusi” quando non “responsabili” dell’inquinamento e della paura quotidiana di non essere più in grado di sostenere la propria famiglia. Provi a mettersi nei panni di un operaio, padre di famiglia monoreddito, come del resto la gran parte delle famiglie tarantine; sono anni che vedono a rischio il loro posto di lavoro. All’emergenza ambientale, che resta tutta in piedi, si andrebbe ad aggiungere un’emergenza sociale. Un disastro! Siamo al punto in cui sono diventate intollerabili i giochetti della politica per lucrare il consenso.
L’attuazione del Piano ambientale è possibile solo utilizzando risorse rivenienti dai bilanci dell’acciaieria e non possiamo condannare alla cassa integrazione prima e alla disoccupazione poi gli operai che si andrebbero ad aggiungere ai tanti disoccupati per i quali non si trova soluzione. Occorre uno sforzo di rinnovata analisi e di creatività per far nascere posti di lavoro stabili. Se si decide poi per il ridimensionamento della fabbrica si deve “pre-vedere” un piano di graduale occupazione delle diverse migliaia di persone in questo territorio. Queste, lasciando il siderurgico, dovranno poter usufruire di nuovi investimenti, per sviluppare anche il terziario, una agricoltura di eccellenza, l’utilizzo delle risorse del mare e il turismo. Diversamente continueremmo nella stessa paralisi attuale accontentandoci di false soluzioni con ammortizzatori sociali che durerebbero 10-20 anni, senza creare nuova occupazione, non rispettando così la dignità della persona umana che si realizza nel lavoro. Ancora una volta mi ispiro alla Laudato si’ di Papa Francesco e invito tutti i protagonisti di questa estenuante vicenda a perseguire ogni possibile strada conduca a coniugare salute e lavoro in virtù di quella “ecologia integrale” che vede l’uomo protagonista e non schiavo dell’inerzia e della massimizzazione del profitto”.