I contenuti del decreto "dignità"
Il pacchetto di misure varato dal ministro Di Maio per il superamento del Job acts e per arginare gli effetti del gioco d'azzardo. Le reazioni di Confindustria e di mons.D'Urso, presidente della Consulta nazionale antiusura “Giovanni Paolo II”
Il decreto dignità - ha detto il ministro Luigi Di Maio presentando alla stampa l’insieme di misure condivise con il consiglio dei ministri - si basa su "tre concetti: diamo un colpo mortale al precariato, licenziando il Jobs Act; diamo un colpo mortale alla parte più insidiosa della burocrazia, per cui ci diranno che vogliamo favorire gli evasori quando vogliamo favorire i cittadini onesti; siamo il primo Paese in Ue che dice stop al gioco d'azzardo e diciamo no alle multinazionali che vengono qui, prendono soldi e delocalizzano".
Nel dettaglio il provvedimento prevede regole più stringenti per limitare il ricorso ai contratti a termine e i licenziamenti; misure contro la pubblicità del gioco d’azzardo; norme per disincentivare le “delocalizzazioni” di imprese all’estero; interventi nel campo delle procedure fiscali. Sono questi i filoni principali del primo provvedimento del governo M5S-Lega in materia socio-economica, un decreto-legge che il ministro del Lavoro e vicepremier, Luigi Di Maio, aveva da tempo ribattezzato “decreto dignità”. Come tutti i decreti-legge produce effetti immediati ma dovrà essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni.
Il limite massimo di durata dei contratti a termine scende da 36 a 24 mesi, con un tetto di 4 proroghe. Per le aziende ogni rinnovo avrà un costo contributivo maggiorato dello 0.5% oltre all’1,4% introdotto a suo tempo dalla Fornero. Dopo il primo contratto di 12 mesi o per i contratti più lunghi, torna l’obbligo di specificare le causali (come incrementi significativi e non programmabili dell’attività, picchi stagionali o esigenze “temporanee e oggettive” di sostituzione di lavoratori). Le norme valgono anche per i contratti a tempo determinato in somministrazione (lavoro “interinale”). Nel campo dei contratti a tempo indeterminato – o più precisamente “a tutele crescenti” – viene portato da 24 a 36 mensilità il tetto per l’indennizzo dovuto per i licenziamenti senza giusta causa. Una norma ad hoc interviene con una proroga di 120 giorni sulla vicenda degli insegnanti diplomati magistrali (quindi senza laurea) per evitare i licenziamenti che sarebbero scattati in base a una sentenza del Consiglio di Stato e avere il tempo di trovare una soluzione.
Le imprese che ricevono aiuti statali per investimenti produttivi decadono dal beneficio se spostano all’estero l’attività prima di cinque anni. Il contributo dev’essere restituito con un tasso d’interesse maggiorato (fino a 5 punti in più) e la sanzione che si applica varia da due a quattro volte l’importo ricevuto. Se gli aiuti statali implicano la valutazione dell’impatto occupazionale, i benefici vengono revocati in tutto o in parte a chi riduce i posti di lavoro nei cinque anni successivi.
Viene vietata la pubblicità in qualsiasi forma, anche indiretta. Sono escluse dal divieto le lotterie nazionali a “estrazione differita” (tipo Lotteria Italia). Dal primo gennaio 2019 il divieto sarà esteso anche alle sponsorizzazioni di eventi e manifestazioni. I contratti in essere sono fatti salvi fino al 30 giugno del prossimo anno. Le sanzioni saranno pari al 5% del valore della pubblicità o della sponsorizzazione (con un minimo di 50 mila euro) e saranno comminate dall’Autorità garante delle comunicazioni sia al committente della pubblicità sia a chi la veicola.
In attesa dell’annunciata revisione del “redditometro” (il meccanismo anti-evasione che misura la capacità contributiva attraverso l’analisi del tenore di vita) ne viene sospesa l’efficacia per i controlli a partire dall’anno d’imposta 2016. Per lo “spesometro” (il meccanismo anti-evasione che impone a commercianti e artigiani di comunicare elettronicamente al fisco le fatture in entrata e in uscita) scatta il rinvio dal 30 settembre al 28 febbraio del termine per “versare” i dati relativi al primo trimestre di quest’anno. Resta in vigore lo “split payment” (il meccanismo anti-evasione in base al quale le amministrazioni pubbliche trattengono direttamente l’Iva che dovrebbero versare ai loro fornitori, i quali poi a loro volta dovrebbero versarla al fisco) ma vengono esclusi dall’applicazione i professionisti i cui compensi sono assoggettati a ritenute alla fonte a titolo d’imposta o a titolo d’acconto.
Il decreto dignità è "il primo vero atto collegiale del nuovo Esecutivo" e, "anche per questo, è un segnale molto negativo per il mondo delle imprese".
È questa la prima, dura presa di posizione di Confindustria secondo la quale "il risultato sarà di avere meno lavoro, non meno precarietà" e "preoccupa anche che siano le imprese a pagare il prezzo di un'interminabile corsa elettorale all'interno della maggioranza e che si creino i presupposti per dividere gli attori del mercato del lavoro, col rischio di riproporre vecchie contrapposizioni". "Come abbiamo sempre sostenuto – continua Confindustria in una nota diffusa alla stampa - sono infatti le imprese che creano il lavoro. Le regole possono favorire o scoraggiare i processi di sviluppo e hanno la funzione di accompagnare i cambiamenti in atto, anche nel mercato del lavoro. Si dovrebbe perciò intervenire sulle regole quando è necessario per tener conto di questi cambiamenti e, soprattutto, degli effetti prodotti da quelle precedenti".
"Il contrario di ciò che è avvenuto col decreto "dignità" - prosegue la nota - Mentre infatti i dati Istat raccontano un mercato del lavoro in crescita, il Governo innesta la retromarcia rispetto ad alcune innovazioni che hanno contribuito a quella crescita. Peraltro, le nuove regole saranno poco utili rispetto all'obiettivo dichiarato - contrastare la precarietà - perché l'incidenza dei contratti a termine sul totale degli occupati è, in Italia, in linea con la media europea. Il risultato sarà di avere meno lavoro, non meno precarietà”.
Sulle misure di contrasto al gioco d’azzardo, invece, c’è da registrare il commento di mons. Alberto d’Urso, presidente della Consulta nazionale antiusura “Giovanni Paolo II”.
“Dopo tanto parlare – ha affermato nel corso di un’intervista radiofonica - mi aspettavo qualcosa di più anche sulla pubblicità. È comunque un primo passo a cui diamo il benvenuto”.
“Il documento – ha aggiunto mons. D’Urso – va però approfondito perché all’articolo 8 viene aggiunto un nuovo comma, il numero 5, non previsto, che cede alle richieste delle società di gioco e azzardo, escludendo alla nuova normativa i contratti in vigore. Questo non è un buon segno. Le persone che guardano al loro profitto si sono date da fare per difendere i propri privilegi. Il divieto di pubblicità per noi è il minimo sindacale”.
“L’azzardo dobbiamo convincerci che non è buon prodotto”, ha concluso il presidente della Consulta antiusura, ammonendo che “il mondo politico non può continuare su questa strada. Una sana economia non è legata alla presenza dell’azzardo. Non lo chiamo assolutamente gioco perché non socializza niente”.