Giustizia: la Riforma Cartabia è legge
A tre giorni dal flop dei quesiti referendari il Senato ha approvato in via definitiva la riforma dell'ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura, che completa il trittico di interventi sul pianeta giustizia
A pochi giorni dal fallimento dei referendum sula giustizia, il parlamento è tornato a fare la sua parte. Il Senato, infatti, ha approvato in via definitiva la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura, che completa il trittico di interventi sul pianeta giustizia (la cosiddetta “riforma Cartabia”, dal nome del ministro guardasigilli) che aveva già visto il varo delle riforme del processo penale e del processo civile. Il titolo completo del ddl è “delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni ordinamentali, organizzative e disciplinari, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Csm”. Il provvedimento contiene norme immediatamente prescrittive e altre che richiederanno l’emanazione di decreti legislativi da parte del governo per attuare la delega ricevuta dal Parlamento. Vediamo in sintesi i punti principali.
Il Csm dovrà provvedere a coprire gli incarichi seguendo l’ordine cronologico. Lo scopo è evitare nomine “a pacchetto” in base ad accordi tra correnti. Saranno obbligatorie le audizioni dei candidati e la pubblicazione online degli atti e dei curricula. Della commissione che si occupa delle nomine non potranno essere parte i componenti della sezione disciplinare, esclusi anche dalle commissioni che decidono dei trasferimenti d’ufficio ordinari e per incompatibilità.
Non sarà possibile continuare a fare il magistrato mentre si ricoprono incarichi elettivi e governativi: sarà obbligatoria l’aspettativa. I magistrati che hanno ricoperto incarichi elettivi non potranno tornare a svolgere funzioni giurisdizionali (per evitare il fenomeno noto alle cronache come “porte girevoli”). Saranno collocati fuori ruolo presso il ministero o le sezioni consultive del Consiglio di Stato, le sezioni di controllo della Corte dei conti e il Massimario della Corte di Cassazione. Chi non è stato eletto non potrà lavorare per tre anni nella regione in cui è stato candidato, né fare il capo di un ufficio giudiziario, il pm, il gip e il gup. I magistrati che hanno avuto funzioni apicali in organismi di governo per oltre 12 mesi (come avviene ad esempio per i capi di gabinetto dei ministeri), cessato l’incarico resteranno per ancora un anno fuori ruolo – non in posizioni di vertice – e poi rientreranno nella funzione d’origine, ma per i tre anni successivi non potranno ricoprire incarichi direttivi.
Nel settore penale sarà possibile un solo passaggio tra la funzione requirente (il pm) e quella giudicante e la scelta andrà compiuta entro i dieci anni dall’assegnazione della prima sede. Attualmente le possibilità di cambiare funzione erano quattro.
Tale collocazione sarà possibile solo dopo dieci anni di lavoro “sul campo” e per un massimo di sette anni, che diventano dieci se il distacco è presso organi costituzionali e di governo.
Ci sarà un giudizio articolato in discreto, buono, ottimo, sulla capacità di ogni magistrato di organizzare il proprio lavoro. Nei consigli giudiziari locali (che formulano pareri per il Csm) anche i rappresentanti dagli avvocati parteciperanno alla valutazione sulla professionalità dei magistrati, ma sarà un voto unitario e possibile solo in presenza di una delibera del Consiglio dell’Ordine. Il fascicolo personale del magistrato sarà aggiornato ogni anno con provvedimenti a campione e statistiche sull’attività svolta: si darà conto anche degli esiti, per poter avere una visione completa del lavoro, ma non per un giudizio sui singoli atti.
Oltre ai membri di diritto, come il Capo dello Stato che lo presiede, il Csm sarò composto da trenta consiglieri. Dieci saranno eletti dal Parlamento (i membri “laici”). I venti “togati” saranno così distribuiti: due in rappresentanza della Cassazione, cinque delle procure, tredici espressi dalla magistratura giudicante. Non sono previste liste ma solo candidature individuali. In ogni collegio – che eleggerà due consiglieri – dovranno esserci almeno sei candidati (con equilibrio di genere), da integrare eventualmente con sorteggio.