Francesco Vignarca: La pace si costruisce insieme
“Benedetto XV diceva, tutto è perduto con la guerra. Quindi qualunque spiraglio di pace va sostenuto e utilizzato. È chiaro però che gli annunci di queste ore non saranno purtroppo qualcosa che andranno a cambiare radicalmente lo scenario e dirigere la situazione attuale nella direzione concreta che tutti noi auspichiamo”. Esprime perplessità Francesco Vignarca, coordinatore Campagne della Rete italiana pace e disarmo, all’annuncio fatto a Cernobbio dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky di avere un piano per mettere fine alla guerra con la Russia e di volerlo presentare all'omologo americano Joe Biden e ai due candidati alla Casa Bianca, Kamala Harris e Donald Trump. In realtà, Zelensky non ha ancora rivelato né i dettagli del piano né quando ha in programma di presentare il patto a Biden o comunque alla prossima amministrazione americana. Ha solo sottolineato il ruolo che l'America potrebbe interpretare in questo ipotetico accordo con la Russia.
Vignarca, a Cernobbio si parla di pace. Perché ora? E quanto sono reali e credibili queste intenzioni?
A Cernobbio si parla di pace ma se ne parla con il grande problema di fondo: capire qual è la definizione di pace. A noi sembra che in tutti i discorsi che si sono ascoltati e letti, la pace sia solo una parola vuota, legata al fatto di non spararsi, di non fare la guerra. Ma c'è molto di più: pace è ricomporre i conflitti, dare possibilità di futuro alla popolazione. A noi sembra invece che il futuro che alcuni vogliono, sia solo quello degli affari della ricostruzione. Certamente, è bene che non si continui a parlare solo di armi e di guerra, però bisogna comprendere che la pace vera non si costruisce solamente sulla base di un accordo tra i leader ma è un percorso di riconciliazione che parte dalla giustizia, dal risanamento delle situazioni. Ma soprattutto da un futuro di diritti per tutti.
Il popolo della pace crede nelle “buone intenzioni” dei leader? E cosa chiede perché i piani di pace siano reali e praticabili?
Il popolo della pace è pronto a valorizzare qualsiasi iniziativa però è chiaro che è difficile credere a coloro che per anni hanno solo puntato alla vittoria, alla distruzione dell’avversario, senza tenere conto appunto delle persone, delle popolazioni. Noi crediamo soprattutto nel valore dei gesti e delle cose concrete. I piani di pace vanno bene, ma ci si deve mettere attorno a un tavolo, aprire degli spazi. Fermare il massacro è il primo punto che dovrebbe contraddistinguere qualsiasi tentativo. Altrimenti sono solo parole vuote. Crediamo che non sia realistico chiedere la pace e poi chiedere le armi e continuare ad utilizzarle o a costruirle, ciascuno dalla propria parte. Pensiamo che sarebbe opportuno partire dalle richieste delle società civili altrimenti c’è il rischio che si tratti di propaganda o di tentativo tattico strategico, magari fatto in un momento di fragilità di politica interna o sul fronte per cercare di riguadagnare forza. Questa non è pace. È strategia.
Cosa convince e cosa no dell’annuncio del presidente ucraino Zelensky?
Non convince molto il fatto che non sia legato a degli atti concreti. Ripeto, i piani di pace si possono fare, ma in realtà se uno li scrive prima − e questo vale per tutti − è difficile che possano essere realizzati perché in realtà sono i piani di una sola delle parti e di una sola prospettiva. Bisogna avere la volontà di pace e la disponibilità a compiere passi concreti assieme. Zelensky avrebbe dovuto dire: noi non attaccheremo più, ci difenderemo e basta. Chiediamo un cessate il fuoco e uno scambio dei prigionieri. Questi sono gli atti concreti da cui poi si può partire con credibilità verso percorsi di negoziato. Il negoziato non si fa prima e non si fa da soli. Si fa durante e si fa soprattutto con il nemico. Personalmente non mi convince nemmeno il timing. Se uno ha un piano di pace pronto, lo deve presentare subito. Non aspetta novembre e non fa calcolo sulle elezioni americane. Mi sembra un modo di forzare un po’ la mano alla amministrazione statunitense. Più che un piano di pace, sembra un tentativo tattico.
In realtà, dopo l’attacco ucraina alla città russa Kursk la pace sembra ancora più lontana.
Dopo qualsiasi scelta di guerra, la pace si allontana. E questo vale sia per l’attacco ucraino su Kursk sia per l'offensiva russa nel Donbass. Vale per l'utilizzo di missili e droni e per la volontà di armarsi sempre di più. Mi permetto poi anche di sottolineare la presenza di una retorica di finta democrazia, pace, diritti, giustizia che attanaglia le nostre opinioni pubbliche e la politica dei paesi occidentali. Ne abbiamo visto una plastica evidenza anche a Cernobbio dove si continuava a dire che bisognava aiutare Zelensky e gli ucraini e poi si accoglieva, con tutti gli onori e strette di mano, il leader Aliyev dell'Azerbaigian, molto amico di Putin, solo perché garantisce l’accesso al gas o affari in quella regione. Una delle cose che serve sicuramente alla pace, non solo nell'aspetto specifico della guerra in Ucraina, è quella di una coerenza e un'onestà di fondo e non un doppio standard che vediamo da troppe parti.
Zelensky torna a chiedere l’aiuto all’Italia. Cosa dovrebbe fare il nostro governo?
L'aiuto che potrebbe dare il nostro governo è da un lato rafforzare l'aiuto umanitario, perché la prima cosa che si fa in un conflitto è quella di proteggere le persone e sostenere le proposte che arrivano anche dai corpi civili di pace che vengono dalla società civile italiana. E dall’altro promuovere una seria politica, non di militarizzazione dell'Europa, che poi va a esasperare tutto il quadro complessivo in cui poi si innesta anche il drammatico conflitto in Ucraina, ma di cooperazione internazionale individuando e rafforzando spazi e luoghi di dibattito. Noi, dallo scorso anno, dalla conferenza di pace della società civile di Vienna, continuiamo a chiedere che ci sia una grande conferenza di pace, che non parli solo dell'Ucraina, ma parli del sistema globale del mondo. Perché i conflitti che vediamo adesso, sono le conseguenze di una disuguaglianza globale, di una incertezza nel mondo, di una non capacità di governare le sfide globali. Abbiamo bisogno di una grande conferenza internazionale di pace e di disarmo. Che rimetta al centro non la legge del più forte, ma il diritto come base, non l’aggressione ma le convenzioni internazionali e il rispetto di tutti. Occorre ripartire da quello che prescrivono la Carta delle Nazioni Unite e le dichiarazioni per i diritti umani. Solo così si potrà costruire uno scenario in cui innestare percorsi di pace sui singoli conflitti, tra cui quello in Ucraina.
(Foto ANSA/SIR)