Firmato accordo di Pace Usa-Talebani
A Doha, in Qatar, Usa e Talebani hanno firmato, il 29 febbraio, un accordo "di pace" che potrebbe mettere la parola fine ad una guerra quasi ventennale. Ne parliamo con Claudio Bertolotti, direttore di Start InSight, tra i massimi esperti di Afghanistan e con padre Giovanni Scalese che, da Kabul, guida la missione sui iuris nel Paese. Un passo verso la pace ma il rischio di guerra civile rimane.
Lo "storico" accordo di pace, firmato dai capi delegazione della Casa Bianca, Zalmay Khalilzad, e dal mullah Abdul Ghani Baradar, il 29 febbraio a Doha (Qatar), in rappresentanza degli Stati Uniti e dei Talebani, prevede la riduzione della presenza militare americana a 8600 uomini entro 135 giorni e ritiro completo entro 14 mesi, l' impegno dei Talebani a non ‘ospitare’ in Afghanistan organizzazioni terroristiche impegnate a pianificare attentati all’estero e il rilascio, da parte del Governo afgano, di 5mila detenuti talebani e di 1000 prigionieri delle Forze afgane da parte talebana. Lo scambio deve essere effettuato prima del 10 marzo, data fissata ad Oslo per l'avvio delle trattative tra governo di Kabul e fondamentalisti. L' accordo potrebbe mettere fine a 18 anni di guerra, cominciata nel 2001 all’indomani dell’attacco di Al Qaeda alle Torri Gemelle dell’11 settembre, consentendo alle truppe Usa di rimpatriare dopo lunghissimi anni.
“Possiamo parlare di accordo storico perché vede riconosciuto ai talebani un ruolo formale di interlocutore in un tavolo, non di pace, ma negoziale. Infatti l’obiettivo reale dell’intesa – spiega Claudio Bertolotti, direttore di Start InSight, tra i massimi esperti di Afghanistan – è il disimpegno americano da una guerra che non può essere vinta, rimandando a trattive bilaterali tra talebani e Governo afgano il raggiungimento di un accordo di pacificazione che non arriverà almeno nel breve-medio periodo. L’assenza nell’accordo siglato a Doha di ogni riferimento ai diritti civili, in particolare quelli delle donne – sotto il regime talebano non potevano né studiare né lavorare – trova riscontro nella premessa, tutta talebana, di imporre un Emirato islamico dell’Afghanistan. L’Emirato islamico dell’Afghanistan si consoliderà passando da uno Stato di fatto ad uno di diritto. Il Governo afgano, lasciato solo dagli Usa, per quanto militarmente equipaggiato, si troverà da solo a fronteggiare i talebani, in un possibile scenario da guerra civile. Privo di intelligence, di capacità logistica, di controllo delle vie di comunicazione, di aviazione, con un alto tasso di corruzione, andrà incontro a sconfitta militare. È anche per questo che i talebani parlano di vittoria a Doha”. Parla di vittoria anche Trump che, sottolinea Bertolotti, “riuscirà a presentare la sconfitta in Afghanistan come una vittoria e sarà un jolly prezioso da giocarsi nella campagna elettorale per la sua rielezione. Si presenterà come colui che ha concluso la guerra, riportato a casa i militari americani e avviato un accordo negoziale tra afgani.
A Kabul Giovanni Scalese, religioso barnabita che guida la Missione sui iuris in Afghanistan, commenta l’intesa Usa-Talebani: “il timore principale è che, una volta partite le truppe americane e Nato, la situazione possa precipitare e l’Afghanistan sia costretto a rivivere la tragica esperienza della guerra civile. Non ci si può quindi lasciare andare a ingenui entusiasmi; ma neppure dobbiamo lasciarci sopraffare dal pessimismo”. Scalese conclude lasciando spazio anche ad un po' di ottimismo: “Il sentimento che ci anima in questo momento, dunque, è quello di una grande speranza, consapevole però delle difficoltà che si frappongono fra una dichiarazione di intenti e i risultati effettivi”.